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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo sesto. — quinta età'. 289
   Il vero è che Cesare quando entrò nelle Gal' e la trovò divisa in tre genti: i Belgi a settentrione, gli Aquitani a mezzodì tra i Pìren« e la Garonna, nel resto -del paese i Celti, o Galli propriamente detti, come usavano chiamarli i Romani Queste genti avevano lingua, ist'.tuzioir e leggi diverse (1). Ora si fanno i Belgi ed i Celti d'una medesima stirpe: e si vuole che gli Aquilani fossero almeno in parte d'origine ibera (2). Ma intorno al sesto secolo avanti Cristo una colonia di Focesi aveva fondato Marsiglia alle foci del Rodano. E fu questa la porta per la quale i Romani entrarono la prima volta nelle Gallie (3). Chiamati in ajuto dai Marsigliesi contro i Liguri, un secolo e mezzo nnanzi Cristo assi fondarono oltralpe le colonie di Aquae Sextiae e d' Narbona, e profittando, come era loro costume, delle discordie dei nativi assoggettarono gli Alverni col nome di alleati, gli Allobrogi col nome di sudditi, e colle terre conqu'state formarono la provincia narbonese, che fu nel medio evo la Provenza.
   Quando la conqr-.sta matei ale di tutto il paese fu compiuta e la Gallia era, come dice Cesare, pacificata, le colon;e dei veterani e l'istituzione delle curie finirono di rassodarvi insieme la signoria di Roma e il dominio della lingua latina (4). I maggiorenti chiamati a curare gli affari della propria citta dovevano di necessità imparare il latino, ch'era la sola lingua del governo e delle leggi: e le plebi non potevano non imitarne l'esempio. Solamente ne nascevano qui, come a Roma, nell'Italia e dappertutto, due lingue: una aulica od illustre, pressoché uguale in tutta la Gallia, ed una volgare che secondo i paesi si divideva nuovamente in differenti dialetti. Alla lingua aulica ed alle scuola latine, che non tardarono ad aprirsi nelle maggiori città (come, per tacer di Marsiglia, detta da Yarrone trilingue, ad Autun, a Lione, a Bordeaux, a Rlieims, a Treveri) dobbiamo, oltre a molti chiari poeti e letterati, quella numerosa schiera di oratori che fece da Giovenale chiamare la Gallia faconda maestra di avvocati. Le prime traccie della latinità gallicana com-pajono negli scrittori della storia Augusta, segnatamente in Lampridio ed in altri autori del IV secolo: nei quali s'incontrano vocaboli tolti dalla lingua paesana, quali, ad esempio, sono: pipio (pigeon), papìiio (pavillon), intimare, insinuare (insegnare, enseigner). E già abl amo veduto che nelle Gallie, mercè le scuole e l'abbondanza dei poeti e degli oratori, il latino letterario durò più lungamente che nelle altre terre dell'impero.
   Anche nelle Gallie (come nelle Spagne) la diffusione del latino cominciò dal mezzogiorno, dove s'ha anche da dire che trovò il terreno lungamente predi-
   (1) Comm. de B. G. I, i. « Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Bel-gae, aliain Aquilani, tcrtiam qui ipsorum lingua Ccltae, nostra Galli appellautur ... Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt. »
   (2) Diez. I. 118.
   (5) Auguste Brachet, Grammaire historique de la langue francaise. Paris, Hetzel. Introd., p. 18.
   (4) Degli effetti dell'ordinamento municipale sulla diffusione del latino, discorre coli'usata chiarezza Fauriel (Dante ecc. Tom. II. pag. 241. e scg.). E Brachet (pag. 23) giustamente osserva che sul finire della dominazione romana la stessa istituzione d& Curiali fu una delle cause più efficaci Iella distruzione delle lettere e del latino letterario. « A la fois administrateurs municipaux et per-cepteurs des impòts, les curiales étaient solidairement responsables de la rentrée des laxes : s'il y avait deficit ou insuffisance , les propres biens des curiales étaient saisis et vendus pour com-pleter la somme; reduits à la misère,la plupart s'enfuirent dans les bois,ou s'engagèrent volontairement comme esclaves. Aveo la destruction de la classe moyenne, les écoles se fermèrent de toutes parts, la culture litteraire cessa brusquement, et l'ignorance regagna bientùt tout le terrain qu' elle avait peidu. Dès lors l'usage du latin littéraire, du latin ecrit, de cette langue fixce par la littérature, et qui ne v vait que par tradition, se restreignit à l'arislocratie gallo-romaine, poignée d'hommes qui se transmeltaient un idiome pétrifié et immobile , destiné à perir avec eux lorsqu' ils viendraint à disparaìtre. Cette fois encore le latin popuiaire beneficia des portes subies par la langue litteraire. »
   Tamagni. Letteratura Romana. 37