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libro i'rimo.
I Romani entrarono nelle Spagne a mezzo il sesto secolo , e con una dominazione d'oltre 600 anni ebbero modo di diffondervi largamente leggi, costumi, lingua e letteratura. E difatti gli Spagnuoli tennero, come s'è visto, un posto insigne nella storia della letteratura romana.
Ma la diffusione del latino e per conseguenza la formazione di un volgare spa-gnuolo fu rapida sopratutto nelle terre meridionali. Strabone scrive clie i Turdetani del mezzodì avevano già presi i costumi di Roma e perduto affatto la loro lingua: ci p.sy xoi Tcvpdixavcl reAéw; zlq xlv Pg^ucumv y-sra/Si/SÀ^vraj rpsrrsv, cvdl xhi ihalUrcv r/jg crfszspxg 'eri pepvjnpsvmJ ed Artemidoro degli abitanti dei paesi marittimi dice in genere che si servono della grammatica degli Italiani : » ypc/.ujj.c/.zivS, dì ¦/^pwjxo.i -yj rwv 'IraXwv ci netoà 6x},y~rc/.v clxovvxiq xùv 'l/3narM> » (1). Nell'interno del'paese fu certamente più lenta e faticosa, perche Cicerone, il quale nell'orazione in difesa di Archia loda Metello Pio d'aver prestato orecchio alle lodi dei poeti cordovani (2), nel libro della Divinazione parla ancora di una lingua spa-gnuola che i Romani non intendevano (3) , e Tacito negli Annali (4) narra di un contadino termestino, il quale messo alla tortura per aver ucciso il pretore L. Pi-sone gridò ai giudici nel suo linguaggio nativo, che lo interrogavano invano : « repertus cum tormentis edere conscios adigeretur, voce magna, sermone patrio frustra se interrogari claniitavit. » E le ultime reliquie di questo sermon patrio resistono oggi ancora ne' Pirenei alla doppia civiltà francese e spagnuola. I Lusitani, popolo rozzo e bellicoso, fecero una lunga e pertinace resistenza ai Romani, difendendo strenuamente con Vinato la propria indipendenza; perciò accolsero più tardi degli altri Iberi le leggi e la lingua di Roma. Onde dialetto e popolo sia per questa circostanza, sia per esservi stato, come crede Diez, l'elemento ibero più debole, si mantennero sempre distinti dai dialetti e dai popoli di qua della Guadiana; tanto da fare col tempo un regno indipendente con una propria lingua e letteratura.
Le traccie più antiche del volgare spagnuolo trovans: in Isidoro (5).
Intorno alla lingua o, per dir meglio, allo stile degli sciittori spagnuoli in contrapposto ai Romani, non abbiamo altro giudizio fuor quello già rifeiito di Cicerone sui poeti cordovani. Una spiccata latinità spagnuola non ebbe tempo di formarsi o di mostrarsi, forse perche i maggiori letterati di quella nazione studiarono e sci s-sero in Roma quando )e lettere latine erano ancora fiorenti. I più grandi poeti ed oratori spagnuoli cadono nei primo secolo. Dopo viene la volta degli Africani e dei Galli i quali poterono tanto più facilmente serbare alla 'ingua il coloiito provin-c:nle, perchè Roma era vicina a perdere od avea perduto 1 primato letterario.
I Galli ebbero già presso gli antichi scrittori Romani fama d eleganti paria-latori. Catone nel libro delle Origini lasciò scritto, che: pleraque Oallia duas res industriosissime persequiiur, rem miliiarem et argute loqui (6). Ed il latino doveva avervi già preso un proprio colore ai tempi di Cicerone, il quale diceva a Bruto che arrivando nelle Gallie avrebbe meglio capito in che consistesse la differenza tra l'urbanità e i parlari delle provincie. « Id tu, Brute, jam intelleges, cum in Galliam veneris. Audies tu qiudem etiam verba quaedam non trita Romae, sed haec mutari dediscique possunt; illud est raajus quod in vocibus nostrorum oratoruni retinnit quiddam et resonat urbanius » (7).
(1) V^di Schuchardt, 1,93, e Diez. Graminatik dei Romanisclien Sprachcn. 1, pag. 91,92. (3.aEd.).
(2) Vedi sopra a pag. 209 (1).
(3) De Divin., II. 64. « Similes enim sunt dii, si ea nobis objiciunt, quorum neque scientiam neque explanationem habeamus, tanquam si l'ami aut llispani in seaatu nostro sine interprete lo-querentur. 99
(ì) Ann. IV. 461
(5) Vedi Diez. 1. 95.
(6) Vedi Beinhardy, pag. 72,
r?) Brut. 46. 171,