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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo vi. — quinta età'. 281
   della principale scuola di grammatici, i quali r munziando a fare novità attendevano a scegliere nei diversi periodi della lingua quello clie per l'uso e per la dottrina fosse da ritenere o da rigettare. Gli scrittori invece, che son più liberi de' grammatici, perchè non insegnano ma fanno in molta parte la lingua, segt itarono ad esercitare il loro diritto di estendere o variare il senso a vocaboli, di comporne dei nuovi, di mutar modo sd ordine ai costrutti; e s'è visto a quanta licenza e varietà di stili aprissero il varco. La lingua s'era di fatto ar icchita, ed aveva acquistato una più grande facilità di adattarsi d'età in età ai nuovi bisogni de' pubblico e degli scrittori. Per essa era da temere soltanto che perdesse, come difatti avvenne, la nativa proprietà e purezza; il dizionario e la sintassi si dovevano necessariamente alterare, ma fìuch'ella seguitava ad essere lingua letteraria, rimanevano salve le altre parti della grammatica. I nomi si declinavano, i verbi s coniugavano, le parole d'ogni specie si scrivevano per l'appunto secondo i precett' grammaticali. Perocché tale è l'indole e l'ufficio delle lingue scritte, ch'esse conservino mercè i libri e le scuole per lunga pezza le antiche forme, anche quando furono logorate o distrutte dall'uso e dalla pronunzia popolare. E la lingua scritta di Roma sarebbe, forse, come la greca di Costantinopoli, durata più a lungo, se l'impero, le lettere e la civiltà latina avessero potuto più lungamente resistere all'urto de' barbari ed alle altre lor cause di corruzione (1). Delle quali cause s'avvantaggiò il latino volgare, per tornar a galla e dilatarsi rapidamente si in Roma e sì nelle Provincie. fin dove s'era esteso e sta' p.to il dominio della lingua latina. La quale perì con lui, per dar origine al latino del medio evo ed alle lingue romanze.
   In Roma, come { à s'è vièto (2), le traccio più antiche del latino volgare, dopoché accanto ad esso si fu formata e progredì separatamente la lingua letteraria, si trovano nell'età di Plauto e propriamente in Plauto stesso, il quale ci dà modo di arguire quanta maggior cof a se ne,dovesse contenere nelle Atellane. E per la stessa ragione possiam credere che di voci e modi volgai abbondassero le varie specie di commedia togata, e non ne fossero privi, quantunque recitati rei più begli anni della lingua e della letteratura, i mimi di Laberio e di Siro. Orazio e
   (1) Vedi per quesle cause i tre paragrafi precedenti (17, 18, 19).
   (2) Vedi i §§ 9, 10, 13. Una nota di tutti gli scritti attinenti alla storia del latino volgare e delle lingue che ne sono derivate non può qui trovar posto. Ci basta nominarne alcuni, tenendo divisi, come di ragione, gli antichi dai moderni.
   Aulo Gellio nell'ultimo capitolo delle Notti Attiche ci ha conservato il tilolo di un libro di T. Lavimo De verbis sordidis, che andò perduto. Una copiosa collezione di voci antiquate e volgari ci pervenne nel noto libro di Fjsto De significatione verborum, che è il compendio d'un'opera maggiore di Verrio Fiacco, compendiato alla sua volta da Paolo Diacono. Tra gli altri grammatici sono da ricordare in ispecial modo Nonio Marcello per lo scritto De compendiosa doctrina, Fabio Planciade Fulgenzio che è autore di una Exposilio sermonum antiquorum, e Isidoio per l'opera De origini bus.
   Nel Medio Evo nulla. Dopo il rinascimento le controversie intorno all'origine dell'italiano furono, per quel che allora si poteva sapere, risolute colla lettera di LeoMiardo Bruno a Flavio da Forlì. In tempi a noi j iù vicini aggiunsero nuova materia allo studio sì del prisco latino, sì della lingua volgare Marini coli'opera sui Monumenti de' fratelli arvali, Muratori colla Dissertazione De origine linguae italicae (Antiq. It. II, Diss, XXXII) e Lanzi col Saggio di lingua etrusco, ma più che tutti fu utile Ducange col Thesaurus mediae et infume latiiatatis. Nel secolo presente alle opere, che più volte ai ricordano di Raynouard, Fauriel, Diez, Fuchs, Pott, Littré, Du Meril, Meyer, Corssen, Schuchardt, Brachet, vogliamo aggiungere dei nostri i lavori del conte Giovanni Galvani, filologo forse non molto sicuro ma valentissimo erudito, e i molti e varii scritti di G. I. Ascoli (che ora vien pubblicando un Arci, vio delle lingue romanze); dei forestieri mi piace soprafutlo lodare la breve ma succosa dissertaz nne ^augurale di Gustavo Schmilin&ky De proprietate sermonis Plautini usu linguarum romanicarum illustrato.
   Altri nomi e libri si possono vedere in Schuchardt (1, kO) ed in Bàhr (Rom. Litt. I, p. 20, 21).
   Tamagni, Letteratura Romana. 36