capitolo vi. — quinta età'. 275
quarant' anni l'impero con giustizia e lo difese con valore da non lievi pericoli; e i Romani gli rendevano a modo loro un g'usto tributo di riconoscenza, quando ancora un secolo dopo la sua morte tutti volevano averne in casa le imagini e le collocavano tra gli Dei renati.
Mentre lo stoicismo temperato di Epitteto e di Marco Aurelio dava questi ammaestramenti di morale pratica, insegnando a stimare ed amare la virtù per sè stessa, non per alcuna speranza di pren o in questa o nell'altra vita, il cosi detto Platonismo, seguendo un'opposta e non meno forte tendenza del secolo, si perdeva nelle tenebre di un vago misticismo, e nell' Oriente un filosofo Giustino consegnava all'imperatore Antonino Pio un libro scritto in difesa della religione cristiana.
I giureconsulti di questo tempo son divisi in due classi: l'una dei pratici che danno responsi e difendono cause, l'altra dei teorici che si limitano ad insegnare il diritto. I primi sono per lo più scolari di Giuliano : e si ricordano tra loro i nomi di Vindio, di S. Giulio Africano, di Terenzio Clemente, di Giunio Mauriziano e d; Saturnino. Maestro e scnttor sommo di diritto fu Gajo, che coi quattro libr delle Istituzioni diede alle scuole romane il primo Manuale d, giurisprudenza. Alti giuristi, dopo i nominati, degni di menzione furono: Meciano, che insegnò di tto a M. Aurelio, Q. Cervidio Scevola, maestro di Papin.ano e Papirio Giusto. Isella medicina è rinomato Galeno. Il Pervigilium Veneris, specie d'inno alla primavera, è, se pur gli appartiene, il solo componimento poetico di questo periodo che ci sia pervenuto.
II terzo periodo comincia con Commodo, 1 indegno figlio e successore di Marco Aurelio, che fu, al dire di Lampridio, più crudele di Domiziano e più dissoluto di Nerone. Mimi e versificatori gareggiarono a chi più dicesse male delle sue crudeltà e sozzure, per le quali morì trucidato. E fu quello il solo frutto che dal suo regno traessero le lettere.
Dopo i brevi regni di Pertinace e di Didio Giuliano salì sul trono Settimio Severo, un imperatole africano, che Sparziano ci dice essere stato eruditissimo in lettere gieche e latine, studiosissimo della filosofia e della eloquenza, ma forse pi.t cupido di sapere che veramente addottrinato. Scrisse la propria vita publica e privata, e, salve le crudeltà sue che dissimulò o difese, non fu alia tto immeritevole di fede. Nella giurisprudenza fiorì sotto di lui il grande Papiniano; ma il fatto più importante del suo regno è il successo crescente del cristianesimo, che già trovava aderenti fra le persone colte ed ebbe difensori così dotti ed eloquenti come Minucio Felice e Tertulliano. Alla fine di questo secolo appartengono forse Elenio Acrone, commentatore di Terenzio, di Orazio e di Persio, e l'altro commentatore di Orazio e di Lucano Pomponio Porfirione, di cui possediamo ancora gii scolii. Anche Festo, il compendiatore di Verno Fiacco, dev' essere di questo secolo. Le lettere e la scienza greca vantano Pausania, Luciano e Tolomeo.
Il terzo secolo si divide da sè in due parti: delle quali la prima va dal 211 al 253 e comprende i regni di Caracalla (211-217), di Macrino (217), di Eliogabalo (218-222), di Alessandro Severo (222-235), di Massimino (235-238), dei due primi Gordiani (238), di Gordiano terzo (238-244), di Filippo l'Arabo (244-249), di Decio Trajano (249-251) e di Gallo (251-253). Tra questi principi, che per lo più furono eletti e finirono trucidati a capriccio dei pretoriani e delle legioni, sono ancora di qualche momento i regni di Caracalla, di A. Severo e del terzo Gordiano. Noto ii primo per le sue pazze scelleratezze e per avere colla costituzione antoniniana de civitate esteso a tutti i provinciali il diritto di cittadinanza romana ; l'altro per aver mercè i savii consigli di sua madre e del giureconsulto Ulpiano retto, finché non cadde sotto il ferro delle legioni galliche, saviamente l'impero e difesolo, come potè meglio, contro i Parti in Oriente ed i Tedeschi sul Reno ; il terzo anche per il suo buon governo, che non lo salvò dall'essere in una spedizione contro i Persiani ucciso dal prefetto de' suoi pretoriani.
In così universale perturbamento, colla crescente minaccia dei barbari ai confini, colla prepotenza della soldatesca e dei suoi capi al di dentro, l'impero era di