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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   libro i'rimo.
   cominciò in questa età a farsi sentire e divenne col precipitare della potenza romana sempre più grande la influenza del cristianesimo, il quale innanzi elle l'impero si sfasciasse ebbe già una propria e bella letteratura. La sola giurisprudenza mantenne e continuò gloriosamente le vetuste tradizioni: e rimase, son per dire, ultima custode del vecchio spirito e della buona lingua di Roma.
   Se non che a compiere un si grande rivolgimento fu ancora necessario un lungo volger di secoli ; durante i quali l'impero e le lettere passarono per molte e diverse vicende, ed ebbero pur tratto tratto de' ritorni di felice fortuna. Onde, a
   il proprio carattere nazionale anche sotto la dominazione romana, e nonché ricevere, come gli altri popoli, la lingua e la coltura latina, già nel primo secolo dell'era nostra avevan fatto di Roma quasi una città greca. Perocché essi avevano sui Tlomani il vantaggio di una civiltà più antica, e di una letteratura originale, a cui avevan dato e davano continuo alimento l'allctto istintivo del popolo per l'arte e gli ammaestramenti di una lunga, gloriosissima tradizione. Il greco nasceva artista e filosofo o l'uno e l'altro insieme, come il romano de' migliori tempi nasceva legislatore e soldato ; e cercava l'eccellenza in ogni studio a cui ponesse mano,non tanto per servire all'ambizione od essere utile al suo paese quanto per appagare la curiosità del vero e l'amore del bello, che furono in ogni tempo le qualità eminenti del suo spirito. Perciò le lettere greche sopravvissero più lungamente delle romane alla perdita della libertà e della patria, e poterono mutar più volte paese e fortuna, passando senza alterarsi troppo profondamente da Atene in Alessandria ed a Roma.
   E molto li ajutò anche la lingua ricca, varia, pieghevole; che colla facile composizione de' vocaboli si prestava a significare puntualmente tutti i nuovi trovati della scienza, dell' arte e della moda, e con una sintassi liberissima poteva seguitar senza stento tutte le mutazioni che il gusto del publico, la necessità dei tempi o il capriccio degli scrittori volesser fare nel modo di parlare e di scrivere. Del che il latino non si mostrava altrettanto capace; povero com'era di voci proprie, poco atto a comporne e legato nelle sue mosse da una sintassi troppo rigidamente uniforme. Onde non appena volle uscir dalle regole e prendere un andare più libero e spedito, tosto si corruppe. É poi da dire ancora una volta che la letteratura fu sempre pei Romani uno studio positivo e pratico, lontano ugualmente dalle alte speculazioni, come dalle vane arguzie, sicché quando per la condizione de' tempi dovette divenlare un'arte oziosa, un piacevole ma sterile esercizio dell'intelletto e de'la lingua, un passatempo per sè e per altri, essi l'abbandonarono a chi in quest'arte per indole e lunga esperienza li vinceva della mano.
   E il vero è che i Greci avean saputo far delle lettere anche un lucrosissimo mestiere; perocché essi erano maestri, consiglieri e commensali desideratissimi nelle case de' principi, essi istrioni, mimi e ballerini applauditissimi sulle scene, essi nei teatri e sulle piazze delle più cospicue città filosofi ed oratori acclamati dalle moltitudini, onorati e donati largamente dai magistrati e dagli imperatori. Nessun'arte utile od aggradevole era loro ignota: e colla finezza dell'ingegno, co'la prontezza dello spirito, colle grazie e colla volubilità delta lingua soggiogavano gli animi per modo che, dov'essi ponevan piede, ogni altro, come dice Giovenale (Sat. III. 419), ne dovesse uscii e.
   Non est Romano cuiquam locus liic, ubi regnat Protogenes aliquis vel Dipliilus aut Hermarchus, Qui gentis vitio nunquam partitur amicum, Solus habet...................
   E se qui narrassimo la storia delle lettere greche, non delle romane, gli scritti e le imprese de. sofisti greci (retori, e filosofi) ci darebbero materia di un grazioso capitolo da aggiungere alla storia letteraria di questo secolo. Per l'uopo nostro ci basta dire che dopo Seneca, Quintiliano i due Plinir e Tacito (che sono i più grandi scrittori del primo secolo) le lettere romane non hanno altro nome illustre da contrapporre ai filosofi, ai retori ed agli storici greci. ìipitteto, Marc'Aurelio, Polemone, IDionisic di Mileto, Aristide, Plutarco, Appiano, Arriano, Dione Cassio, Pausania ùncouo tutti gli scrittori latini dell'età e Luciano non ha chi lo uguagli in tutta la letteratura latina. Né questa era ancora l'ultima vicenda della letteratura greca, clic fatta cristiana e bizantina doveva sulle rive del Bosforo sopravvivere di dieci secoli alla caduta delle lettere e dell'impero romano.