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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO VI.
   QUIKTTA JEirC^
   (117-476).
   § 19. — Ultima decadenza s Sn3 delJa Ì3fcteratura, — Gli scrittori cristiani.
   Giunto all'ultima età della letteratura, la mano si affretta a toccare il termine dell'opera, che la monte ebbe a divisare, e sulla quale s'è fors'anche troppo indugiata. Ma le precedenti età domandavano un lungo discorso, chi tutti ne volesse conoscere i pregi e le vicende ; di questa basterebbe dire con una sola parola che la letteratura vi finisce col finire dell'impero. Roma posseduta da un re barbaro cessa di essere la capitale del mondo latino, il quale via via si rompe in tanti stati quante erano a un dipresso le genti da lei riunite sotto il suo dominio; e ciascun d'essi, dopo un periodo più o men lungo di lavoro e di preparazione, avrà una propria lingua ed una propria letteratura.
   Già si è visto che più l'impero si dilatava e più Roma s'apriva alle influenze forestiere : professori, scienziati, artisti, uomini di lettere accorrevano d'ogni parte a le ' ; e nel sacolo ora scorso riceveva già dalla Gallia e dall'Africa i suoi più focosi oratori, dall'Asia il principe de'grammatici, dalla Spagna Columelìa, Pomponio Mela, Quintiliano, Marziale e, per tacer d'altri, gli Annei, famiglia di retori, di filosofi e di poeti. E Trajano fu pure spagnuolo. Il mondo s' era veramente fatto romano: ma Roma intanto aveva perduto la sua originalità, e le lettere, come tutto il resto, eran divenute proprietà comune di tutti i popoli dell' impero. La coltura prima latina, poi italica spargendosi coi commerci, coi libri e colle scuole, si era (se ne togliamo la Grecia e l'Asia) fatta cittadina dapertutto ; ma per la lunga dimora s' era anche mutata da paese a paese. E per darne un solo esempio, gli scrittori delle Gallie e più gli africani, come accennammo già altrove (1), presero dall' indole nazionale, dal clima o da tutte due le cause insieme un colore che li distingueva moltissimo da quelli d' altre nazioni. Così la letteratura col fars. universale perdeva sempre più il nativo carattere; e mancatole anche lo stimolo della carità patria, o inaridì tra le minuzie d'una erudizione più vanitosa che utile o sfumò via ili eleganti vaniloquii.
   • Pertanto fu aperto più largo il campo da una parte alle eleganze retoriche, al-1 audizione di ogni genere ed anche aiie scienze, dall'altra alle lettere greche, che in questo secolo parvero tornare un istante all'antico splendore (2). Ed alla perfine
   (1) Vedi a pag. 209.
   (2) Questo piSorire improvviso della letteratura greca appunto nel momento dell' ultima decadenza della letteratura latina è un fatto notevolissimo e forse senz'esempio nella storia generale delle lettere. Ma chi osservi davvicino l'indole e la storia dei due popoli e delle due letterature ne vede facilmente le cagioni.
   la letteratura gioca dopo essere stata madre e maestra alla latina la seguitò dappresso in tutte 3 sue vicende, e da Polibio In quìi diede quasi ogni secolo a Eoma ed all'impero qualche illustre scrittore.
   Dotati di un ingegno quanto si può dire versatile, pronti di lir.gua, imaginosi, arguti, scaltriti in tutti gli accorgimenti della speculazione, dell'arte e della eloquenza, i Greci mantennero inalterato