Stai consultando: 'Storia della Letteratura Romana ', Cesare Tamagni

   

Pagina (279/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (279/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   capitolo vI. — quINTa età'. 263
   sforzi coronati, mi piace ripeterlo, da splendidissimi successi in quasi ogni ramo d'arte e di dottrina, le lettere romane parvero prese da mortale languore, nò alcuna virtù più valse a sollevarle
   Nella storia della lingua noi vediamo svolgersi e progredire le conseguenze dei fatti, che a suo luogo furono mentovati (1.).
   Colle tre lettere vanamente aggiunte da Claudio all'alfabeto (2) cessano tentativi per finir d'uguagliare artificialmente i segni con i suoni, o i filologi, deposto ogni pensiero d'inutili novità, s'applicano a stabilire fermamente le regole dell' ortografia e per essa delle altre parti della grammatica. La quale aveva bisogno di esseie rinnovata anche per il solo fatto che sotto Augusto e Tiberio cominciarono a scomparir dalle scuole i vecchi autori ed a leggervisi i nuovi, segnatamente Virgilio. E quando alcun tempo dopo Valerio Probo, per desiderio rL rimettere i, onore gli scrittori republicani, si die' tutto quanto ad emendarne i testi, queste sue stesse fatiche lo condussero a riconoscere e rilevare le più notevoli differenze tra le forine antiche e le nuove, e a decretare quali tra le antiche fossero da conservarsi, quali dovessero cedere il posto alle forme più leggere, comode ed eleganti che avevano oramai per sè il suffragio degli scrittori e la forza incontrastabile della consuetudine. Mercè questo confronto, che si poteva ancora fare con certa estensione e sicurezza (quantunque, per lo stato della filologia a que' tempi, non sia da credere che Valerio Probo sapesse, come farebbe un linguista de' nostri giorni, risalire con metodo regolare e conseguente sino alle forme originali delle antiche scritture ed indicare i modi e le cagioni dei loro mutamenti), i grammatici che seguitarono l'indirizzo di Probo poterono determinare chiaramente i confini dell'antico e del nuovo latino, e confermare ì diritti dell'uso coll'autoiità della dottrina. Per siffatta guisa la lettera I prese terminativamente il posto della V a significare il suono intermedio tra I e V, V V successe a V 0 all'uscita dei nomi della seconda declinazione. EI cessò di significare 1 lungo ; e invece di quoi, quoius ecc. ecc., si scrisse, come già da tempo si pronunziava, più speditamente cui, ciiius. Nò mancò chi, seguitando un uso già antico, s'avvisasse di valersi delle differenze di forma e di scrittura per dare diverso senso a parole originalmente identiche, e distinguesse, per esempio, quom da cum, ad da at, verteoc da vortcoc. In breve, per dirla con un dottissimo di Germania, tutte le propensioni della lingua, che si manifestano durante l'età republicana, vengono una appressò dell'altra a compimento nel primo secolo dell'impero; e F. Ritschl ebbe ragione di scrivere che nel secolo d^ Quintiliano (e vai quanto dire sotto i regni di Vespasiano, di Domiziano, di Ncrva, di Trajano) s'ha da collocare il punto culminante dello sviluppo fonetico e morfologico della lingua latina. Da questo punto in là essa discende, e a dir vere in più breve tempo che non ne pose a salire (3).
   Per la sintassi, per il lessico ed in genere per le norme dello scrivere poco tecero i grammatici, e ben maggiore fu l'azione dei retori e l'opera degli scrittori. Della necessità che la 'ingua si avesse in questa parte a mutare eran persuasi tutti in questo non meno che nel secolo precedente ; c del modo come una lingua si muta, delle cautele da usare per seguirne senza pericolo i mutamenti noi conosciamo, per alcuni suggerimenti di Quintiliano, quel che pensassero i maestri più riputati del tempo.
   Nel primo libro dell'istituzione oratoria (C, 3) egli riconosce, come già s; è visto (4), l'impero della consuetudine, quando sia corretto dall' analogia ; ma per consuetudine intende il consenso delle persone colte, non l'arbitrio della moltitu-
   (1) Vedi sopra a carte 207 e seguenti.
   (2) Vedi sopra a carte 27.
   (3) Vedi Brascbach. Neugestaltung dei' lateinischen ortographie, pag. lo e Ritschl. Opusc. philol. I, pag. 72o.
   ,(*f) Vedi sopra a carte, 210, It, ecc