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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo vI. — quINTa età'.
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   a fiorire, sebbene con modi diversi Perocché al piacevole e piano conversare di Orazio successo il sermoneggiare austero ed aspro di Persio e 1 declamare indegnato, quantunque non sempre sincero, di Giovenale.
   Ma quegli era un onesto giovane, nato e cresciuto in casa di stoici e da Cornuto educato nelle mas&ime più severe della setta, perciò nemico all'operare tanto difforme del secolo e per ardor giovanile desideroso di correggerlo; che se non raggiunse lo scopo, almeno lo cercò con amore e per i suoi tempi lo prosegui animosamente. Questi, dopo di aver passato metà della vita cercando inutilmente ricchezze, fama, onori e tutti que beni che i poeti d'altri tempi solevano trovare nell' amicizia dei potenti, si vendicò della noncuranza de'suoi concittadini denudandone e flagellandone spietatamente le miserie ed i vizii. L'indegnazìone , com' egli dice , lo fe' poeta: ma a quell'ira si mescolò troppa parte di amor proprio offeso perchè fosse tutta giusta e verace; e se nel rispetto che ha di ferire i viventi non vogliamo vedere una passata di retore, le sarà mancato pur il coraggio. Poi la scuola e il lungo uso della declamazione gli gonfiarono la voce, e da loro apprese, anche non volendo, ; vizii comuni al secolo ed in lui più che in altri manifesti dell' affettazione e della violenza.
   Oltracciò nè sempre si lagna ragionevolmente delle miserie del suo tempo, nè per curarle suggerisce alcun buono ed efficace rimedio. Perocché tutto ancor pieno de' vecchi pregiudizii, egli, mentre sprezza la plebe che chiede sol pane e spettacoli, e deride i nobili guidatori di cavalli o combattenti nell' arena coi gladiatori, s'indegna al veder Roma invasa da una gente nuova, che in luogo di stendere ogni dì la mano ad accettare l'avara sportula del ricco, campa la vita lavorando coli'e-sercizio d'un arte vile e non rade volte arricchisce, prendendo nel civile consorzio i posti che già erano de' cavalieri e de' senatori.
   Pertanto egli consigliava ad ognuno di lasciar Roma, dove le arti onesto non avevan più dimora, dove il patrimonio, già per sè tenue, s' assottigliava inutilmente ogni giorno ; e vole va che i Quiriti tutti quanti 1' avessero già prima abbandonata, sol perchè chi non fosse ricco non vi poteva più emergere, e ai nati di basso luogo non era più lecito come una volta a Mario ed a Cicerone di acquistarvi gloria e potenza. Questo era il suo dolore, questo l'uggioso verme che gli rodeva l'animo contro i beati del suo secolo; fossero dessi ancora vivi o dormissero ne'sontuosi sepolcri della via Flaminia e della Latina. Escluso, for.se per sua colpa, dalla compagnia degli uomini illustri ed onesti, che lo vedevano affannarsi senza posa dietro la infinita turba dei clienti per accattare una mercede ed un saluto di cui non aveva bisogno, troppo ambizioso per lasciar Roma perpetuamente, non ricco o non fortunato abbastanza per vivervi soddisfatto e tranquillo, egli fu un poco il poeta de'rejetti e de'malcontenti, di quella classe di oziosi importuni, di disillusi, di svagati di cui Roma formicolava e non poteva, tanto erano mutevoli e diverse, mai appagarne le voglie.
   Contuttociò egli ci fece un quadro vivo e finito delle vergogne e delle ridicolezze del suo secolo, e come descrizione delle miserie della plcÌDe le sue satire fanno opportuno riscontro ai libri di Tacito, dove sono in ispecial modo esposti i dolori e le oppressure della nobiltà. Nè, come segno dei tempi e di quel rivolgimento che si veniva segretamente facendo negli animi, vi mancano, massime negli ultimi libri, bei precetti di morale ed umanissimi sentimenti.
   Del genere delle satire menippee è il romanzo di Petronio Arbitro: piacevole quanto mordace e licenziosa narrazione delle lussurie romane nell' età di Nerone, Negli epigrammi di Marziale vediamo in conto aspetti ripetersi tutte quante lo infelicità e le brutture di questo secolo, e nsieme le amarezze, i disinganni, gli stenti del poeta, che per vivere non oscuro e senza pericolo in Roma dovette, mentre feriva gli altri con aspro morso, blandire la tirannide di Domiziano.
   Mentre i poeti satirici ì'ogni specie toccavano il polso alla società romana, e liberamente segnavano i progressi del male che la menava a certa morte, altri, levandosi in regioni più alte e serene, dopo Ennio, Virgilio ed Ovidio osavano ancora