capitolo v. — quarta eta'. 257
Certo erano i pensieri e le parole che meglio esprimevano lo stato di una gente, la quale soltanto in un ordine supremo, i una legge comune ed inevitabile, eh' essa chiamava il fato (1), poteva trovare la ragione e la consolazione de' suoi mali. Necessità nell'ordine politico, necessità nell'ordine morale: gli uomini erano da ogni parte stretti da una forza superiore, che potevano desiderar benevola, ma dovevano tollerare e creder provvida qualunque ella fosse.
In questo senso i dettami della filosofia vengono confermati dalla storia, e Tacito può dar la mano a Seneca: non altrimenti; perchè l'umana fragilità tolse al filosofo, come ad altri non pochi, di rendere colla innoceuza della vita chiara testimonianza della verità ed utilità della dottrina.
E questo è il sentimento col quale si abbandona ogni volta la lettura di quei due grandi, quantunque diversissimi scrittori; d'ammirazione per l'ingegno ed il valore di coloro, che in mezzo a tanta corruttela sostennero ancora o colle opere o cogli scritti la dignità dell'uomo e la grandezza del nome romano; di dolore per la loro impotenza ad uscir dai mali che da ogni parte li accerchiavano.
Quindi a nessuno deve far meraviglia la profonda tristezza, che, ben più del coraggio, domina ne' loro scritti : se Seneca presentiva che un giorno avrebbe dovuto dar in sè l'esempio di quel morir forte e sicuro che lodava nelle sue lettere e nei suoi ragionamenti, Tacito scriveva gli annali dell'impero coll'animo esacerbato dalla tirannide di Domiziano, di cui anche in tempi più lieti non aveva potuto perdere la memoria. Onde la conoscenza del dolore e la pietà delle umane miserie è in lui tanto viva e profonda quanto in nessuno degli scrittori antichi. Perchè, penetrando nel cuore dell'uomo più addentro che veruno storico abbia mai fatto, egli vide che ì tormenti dell'oppressol e uguagliano, se già non superano, le sofferenze dell' oppresso, e con una profonda analisi delle nostre passioni ci mostrò come si cada facilmente dalla virtù nel vizio, dall'innocenza nel delitto, e come anche i più grandi colpevoli non sempre possano dar ragione del male che fanno.
Le speculazioni del filosofo e le ricerche dello storico s'appuntano qui di nuovo ad uno stesso fine, mostrandoci che l'errore, le disgrazie ed i patimenti sono inseparabili dall'umana condizione. Sebbene, come già fu avvertito, vi è ancora tra i due questa notevole differenza (e lo storico se ne avvantaggia) : che in quello le opere furono troppo spesso discordi dalle parole, in questo il tenor di vita fu costantemente uguale a quelle massime che professò negli scritti E la ragione della differenza si può forse trovare in ciò che il filosofo fu prima rotore che pensatore, e diventò troppo presto cortigiano per essere mai ottimo cittadino e politico profondo. Forse anche l'indole della sua nazione, il naturale, i tempi non permettevano eh'ei fosse migliore; ma a che serve allora, può dir ancora taluno, a che serve una filosofia, la quale in vita non ti salva dagli errori e dalle colpe più co-muri, ed ai mali come alle vergogne non sa trovare altra uscita che un ambizioso suicidio ? La sapienza di Tacito, che insegnava a tollerare operosamente fin all' ultimo, qualunque essi fossero, i torti degli uomini e le ingiurie della fortuna, era forse meno austera ma certo più sana ed utile.
Comunque sia, tra i cultori della filosofia in questo secolo si contano, oltre Ss-neca, altri bei nomi, come Sestio, Cornuto, Musonio Rufo, Epittetc che scrisseio in greco; Colso, Papirio Fabiano, e tra gli stoici più animosi Trasea Peto, Barea So-
(1) Dio ed il fate, dice Seneca (De Ben., 4. 7), sono la stessa cosa: «Hunc eundem deum et fatum si dixerisl non mentieris. Nani cum fatum nihi! aliud sii quam series impiega causarum, illa est prima omnium causa, ex qua ceterae pendent. » E questa era la dottrina degli stoici. Gli epicurei invece insegnavano, come a suo luoge fu dimostrato, che gli Dei non si davano alcun pensiero degli uomini ; onde spessissimo si vedono i buoni in lutto ed i cattivi in allegrezza. Altri, come Tacito, fra pareri tanto diversi pendevano incerti, e preferivano vivere nel dubbio anziché por lede in sistemi, nessuno de' quali, a loro credere, spiegava compiutamente nessuna delle contraddicroni della vita E furono scettici per rassegnazione,,
Tamagni. Letteratura Romana.
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