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libro i'rimo.
conciava coi tempi e suggeriva i modi di scansarne i pericoli e le insidie. Essa predicava non dover il saggio provocare le ire dei potenti, ma schivarle, coinè il buon nocchiero fa la procella (1) ; e altrove che il saggio evita la potenza che gli può nuocere, ma in modo da non parere che l'eviti, essendo parte di sicurezza non fuggirla apposta, perchè chi fugge condanna (2). E finalmente questa medesima filosofia insegnava che se la republica è tanto corrotta che non si possa ajutare, se è veramente tutta invasa ed occupata dai mali, il saggio non si affaticherà senza prò nè si consumerà indarno per essa (3).
Questa era la filosofia di Seneca : uomo nato e cresciuto per avere tutte le apparenze del saggio ed insieme tutte le condiscendenze del cortigiano. Degno per la dottrina, per l'eloquenza, per l'ingegno d'essere prima maestro e poi consigliere d'un imperatore: del quale credette poter moderare le libidini assecondandole, le crudeltà servendole e lodandole ; ma come 1' ebbe ajutato a torsi d' attorno chi gli facesse ombra ed innanzi tutti la madre, provò alla sua volta i denti della fiera che aveva si bene ammaestrata. Onde non ebbe torto Suillio, quantunque uomo tristissimo, di domandargli quale sapienza e quali filosofi gli avessero insegnato in quattro anni che serviva la corte ad ammassare 300,000,000 di sesterzii, a tendere per tutta Roma le reti ai testamenti ed ai riccln senza erede; a disseccare con le sterminate usure l'Italia e le provincie (4).
Nulladimeno insieme con queste ed altre massime di prudente circospezione Seneca raccolse ne' varii suoi scritti i principii più elevati ed i più savii insegnamenti di filosofia pratica; nè prima di lui s'eran scritte in latino cose tanto vicine al vero intorno a Dio, al mondo, all'uomo ed alle loro mutue attinenze. Temperando il rigore alle volte soverchio della filosofia stoica coi dettami d'altre scuole, egli non mirò tanto a comporre un sistema di dottrine filosofiche, quanto a suggerire precetti, ed a dimostrare la verità di quelle massime che al volgo parevano più nuove ed erano veramente le più contrarie ai pregiudizii ed alle passioni degli uomini E giova credere che le sue carte possano aver chetati molti dubbii, lenite molte angoscie, rasciugate molte lagrime, leggendosi in esse che una legge ed una volontà immutabile soprastà ad ogni cosa, e che gli uomini, in qualunque stato di fortuna si trovino, debbono sempre andar lieti d'essere mossi e trascinati insieme coll'universo. « Di questo solo, sclamava agli Dei un filosofo, di cui Seneca riferisce le parole, — di questo solo io posso con voi lagnarmi, che non mi faceste conoscere prima la vostra volontà. Perocché spontaneo mi sarei fatto incontro a questi mali, a cui vengo ora chiamato. Volete togliermi i figli ? li ho allevati per voi. Volete qualche parte del corpo? prendetela. Non vi prometto gran cosa, chè ben presto lascerò il tutto. Volete lo spirito1? e perchè no? non metterò tempo in mezzo, acciocché voi riprendiate ciò che mi avete dato. Mi troverete volonteroso a darvi ogni cosa che avrete domandato. Che adunque? avrei amato meglio offrire che rendere. Che uopo era di togliere? Potevate ricevere. Ma neanche ora toglierete, perchè non si rapisce se non a chi ritiene. A nulla son costretto, nulla patisco contro il mio volere, nè servo alla divinità, ma le acconsento; e tanto più di buon grado, perchè so che ogni cosa procede secondo una legge certa e prestabilita in eterno » (5). Se ne tolga l'idea del fato, che spicca in sulla fine e leva alla rassegnazione un po' del suo merito, non son questi i pensieri e quasi le proprie parole di un cristiano?
(1) Senec. Epist. 14, 7: «sapiens nunquam potentium iras provocabit, immo dcclinabit, non aliler quam in navigando procellam. »
(2) Ibid. 8: «sapiens nocituram potentiam vitat, hoc primum cavens ne vitare videatur. Fars enim securitatis et in hoc est non ex professo eam fugerc, quia quae quis fugit damnat. »
(5) Senec. De otio 3, 3: « si respubbliea corruptior est quam ut adjuvari possit, si occupata est malis, non nitetur sapiens in supervacuum nec se nihil profuturus impendet. «
(ft) Ann. XIII, hi. Era stato un terribile accusatore sotto Claudio, e fu sotto Nerone, si diceva ad istigazione di Seneca, condannalo alfesiglio. (o) Senec. I'rovid. V.