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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo y. — quarta età'. 255
   Peto dal Senato per non assistere alle nefande adulazioni verso il parricida Nerone (1), e nell'esempio di P. Egnazio, clie per oro accusò Barea Sorano suo patrono ed amico, additandoci quanta avarizia e perfidia si potesse talvolta nascondere anclie sotto l'austero ciglio del filosofo (2).
   Se non che i tempi le erano (come di sopra già s'è visto) assai favorevoli; e i Romani, poich'ebbero lasciate le ricerche speculative poco conformi al loro ingegno, coltivarono con più vivo ardore che mai la filosofia pratica, dalla quale domandavano , secondo l'uopo, consolazioni o consigli. I filosofi erano nelle grandi case come una specie di direttori spirituali, di medici dell'anima, che al patrono ed alla matrona recavano a tempo 1' ajuto di un savio consiglio o il refrigerio di un conforto amichevole. E nei libri di Tacito noi li vediamo sostenere il coraggio delle più illustri vittime della tirannide, e talvolta anche di quelle donne generose che volevano, morendo, partecipare alla gloria dei mariti o dei padri. Bene spesso la rassegnazione alla morte od il volontario suicidio sono da loro stessi consigliati come il migliore e più sicuro fine dei mali (3); e per contrario filosofi di maggior coraggio furon veduti interporsi tra le armi civili, e tentare se lor veniva fatto di aquetare coll'autorità del nome e coìl'eloquenza della parola le ire dei combattenti (4). Essi ebbero in breve quella parte di morali ufficii, che il sacerdozio pagano non poteva compiere, perchè dedicato unicamente al culto, e dei quali una società cosi profondamente turbata come la romana aveva grandissimo bisogno. Ogni casa avea dunque il suo maestro, ogni nobile persona il suo custode: e l'uno e l'altro erano filosofi; e in nome della filosofia gli uomini più chiari per censo, nobiltà, dottrina si presentavano tranquilli ai giudizii capitali, vedevano le minacce dei nemici, la viltà degli amici, e con animo sereno sostenevano anche l'agonia di morti lunghe e dolorose.
   Ma se tutti i filosofi, gli epicurei non meno che gli stoici, insegnavano a morire con calma e dignità, non tutti professavano o seguitavano nella vita le stesse massime di virtù austera e solitaria ; perocché ci era pure una sapienza, la quale s'ac-
   (1) Ann. XIV. 12. « Thraseèi Pactus silentio vel brevi adsensu priores adulaliones trar.smittere solilus exiit tuoi senatu, ac siiti causam periculi fecit, cetcris liLertatis initimn non praebuit. »
   (2) Ann. XVI. 52. « Quantum misericordiae saevitia accusationis permoverat, tantum irae P. Egnatius tcstis concivit. Clicns hic Sorani, et tunc emptus ad opprimenduni amicum auctoritatem Stoicae seclae praeferebat, habitu et ore ad expriraendam imaginem lioncsti exercitus, ceterum animo perfiuosus, subdohis, avaritiam ac libidinem occullans; quae postquam pecunia reclusa sunt, dedit exemplum praecavendi quomodo fraudibus involutos aut flagitiis commaculatos, sic specie bo-
   narum artiuia falsos et amicitiae fallaces. » E il caso è confermato da Giovenale clic ne fa lo slesso giudizio nella terza satira (116),
   « Stoicr.s occidit Baream delator, amicuni Discipulumque senex ripa nutritus in illa, Ad quam Gorgonei delapsa est pinna caballl »
   (5) Era questo anzi il solito parere eh1 essi davano a chi fosse nojato della vita o caduto nella d.sgrazia del principe. Cesi condussero a lasciarsi uccidere da uu centurione RuheìJio Plauto, che poteva vendere a caro prezzo li esistenza, o prolungarla tanto da veder la fine del suo persecutore. Qui erra però Martha nel suo bel libro Les Moralistes sous l'empire romani (pag. 7) quando lo pone alla testa delle legioni romane nell'Asia. Egli viveva là da privato, perchè la sua presenza in luogo più vicino all'Italia turbava i sonni di Nerone. Vedi del resto Tacito, Ann. XIV. 50.
   frj Musonio Rufo, quando erano per venir alle prese sotto Roma i soldati di Vespasiano e di Vitellio. Il racconto di Tacito ci mostra insieme e la bontà delF uomo e la vanità dell1 improsa. « Miscuerat se legatis Musonius Rufus equestris ordini?, sludium philosophiae et piacila stoicorum aemulatus; coeptabatque permixlus manipulis bona pacis ac belli discrimina disserens, arraatos mo-nere. Id plerisque ludibrio, pluribus laedio: nec deerant qui propellerei proculcarcntque, ni admoni tu modestissimi cujusque, et aliis minitantibus, omisisset intempestivam sapientiam » (IZist. Ili 81).