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libro i'rimo.
dubitare, ed all'autorità di Fabio Rustico, di eluvio Rufo, di Plinio il vecchio si affida più volte nel corso del suo racconto; né d'altra parte i critici moderni, volendo rettamente ponderare quanta fede si meritino egli e gli altri che, come lui, scrissero senz'amore e senz'irà, dovevano dimenticare i tempi in cui vissero, gli errori, i pregiudizii, gli affetti dai quali, pur essendo grandissimi, non si poterono liberare. Così facendo avrebbero forse inteso che le sevizie e le dissolutezze dei principi non erano gravi e dannose soltanto ai cittadini di Roma, di cui versavano a rivi il sangue, dissipavano gli averi, perdevano i costumi, ma ancora all' Italia ed a tutto l'impero; sul quale si venivano dai più remoti confini addensando pencoli, che principi, senato e popolo distratti da altri pensieri non vedevano o non curavano (1). Avrebbero capito che gli imperatori, inferocendo contro la nobiltà o corrompendola, levavano a sè ed allo stato la sola forza, che ancora li potesse difendere dalle violenze della soldatesca e dai capricci della plebe; e che perciò non si possono biasimare gli storici di questa età, se per sè e pei propri concittadini desiderarono ragli migliori che non fossero stati quelli di Tiberio, di Nerone, di Domiziano, e diedero manifesti segni di gioja e di riconoscenza, quando con Nerva e Trajano il mondo credette d'aver insieme ricuperato la libertà, la giustizia e la pace. Nò Tacito, nè altri poteva vedere la necessità che l'impero romano si sfasciasse per dar luogo ad un nuovo e più giusto ordine di cose; essi sentivano i mali presenti delia patria, e dei loro dolori come delle loro gioje facevano partecipi i posteri, acciocché ne avessero almeno i buoni la meritata lode e la tema della futura ignominia trattenesse dal mal fare i catthi. Nè altro si potrebbe lor chiedere ; se pur non volessimo, cosa impossibile, che giudicassero delle cose e degli uomini del loro tempo colle nostre idee, coi nostri desiderii e coi nostri costumi.
Del resto nella storiografia di questa prima età dell' impero si devono ancora distinguere due periodi : l'uno che va sino alla morte di Domiziano, l'altro che comincia e termina col regno di Nerva e di Trajano. Tra gli scrittori del primo periodo (ai quali soltanto si può dar biasimo d'avere per affetto o -viltà adulato i principi, di cui narravano le gesta) tiene il primo posto Vellejo Patercolo, che in due libri condusse la storia di Roma sino al regno di Tiberio. E per quanto di molte sue adulazioni si possa dar colpa alla gonfiezza dello stile, che era comune allora, ed altre si vogliano condonare alla gratitudine verso la casa ed il principe che lo protessero, ne resta ancor tanta parte per farci deplorare che la dottrina e l'amor del vero non fossero pari in lui al chiaro e versatile ingegno. Più dei fatti curò le persone, e prima che di storico fedele cercò lode di ritrattista ingegnoso e di piacevole novellatore (2).
A mala pena possono meritare il nome di storia i nove libri di detti e fatti memorabili di tutte le nazioni, che Valerio Massimo compose in uso degìi oratori e delle scuole, e dedicò a Tiberio con vilissime adulazioni a lui ed a tutta la famìglia de' Cesari. Q. Curzio Rufo scrisse, regnando Claudio, un bel romanzo sulle imprese di Alessandro Magno ; e Domizio Corbulone compose! sotto Caligola e Nerone i com-mentarii delle sue guerre nell'Asia. Sotto ì Flavii, oltre i già mentovati, scrissero storie Licinio Muoiano e Vipstano Messala; e da Domiziano furono puniti di morte Aruleno Rustico ed Erennio Senecione per aver narrate e iodate le virtù antiche di Trasea Peto e di Eividio Prisco (3).
Ma qualunque sia stato il merito di queste scritture (e della più parte noi non
(1) E non mancò anche sotto Tiberio chi mostrasse i pericoli di tale noncuranza e ne movesse alte querele. Per la rivolta di Sacroviro i migliori cittadini stettero in grande trepidazione, e non erano pochi quelli che accusavano l'imperatore perchè in tanto rerum motti libellis accusatorum insumerct operam (Ann, Li!). III. 44).
(2) Vedi la prefazione di F. Kritz alla edizione critica di V. Patercolo. Lipsia, 1848, coi tipi di T. Woeller.
(3) Tacit. Agric. 2.