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non teme di vantarne anche i pregii, nò manifesta in alcun luogo — tanto gli parevari vani — il desiderio o la speranza che fosse mai per rivivere l'antica eloquenza. Egli sente che essa era stata possibile soltanto colla libertà; e non potendo, come i retori troppo spesso fanno, segregare la sostanza dalla forma e i pensieri disgiungere dalle parole, non pensa nè dice mai, che gli accorgimenti della scuola od anche la sola imitazione de' grandi esemplari bastino ad infondere nell' arte del dire quel soffio di vita, che coi tempi s'era da essa diviso. Piglia le cose come sono, e con una leggera tinta di ironia termina esortando i suoi contemporanei a godere di quel po' di bene, che l'età dava a loro, senza portar invidia alle altre, o dirne male (1). Quando poi assunse di scrivere le istorie, prese risolutamente il nuovo stile, tanto l'antico gli pareva disadatto alle cose non meno che alle persone.
Del libro di Quintiliano noti possiamo recar giudizio, perchè andò perduto; ma le poche citazioni, che se n'hanno, bastano a farci intendere che esso conteneva in più breve spazio quelle medesime dottrine, che sono lungamente trattate nell'Istituzione oratoria. E veramente Quintiliano fu il maggior luminare della scuola , che oggi si direbbe classica; la quale, richiamando l'eloquenza ai suoi principii, s'avvisava di resistere alla corruzione del gusto, e di premunire la gioventù contro le false dottrine e il mal esempio dei novatori. Quintiliano, deponendo nel suo libro i frutti di oltre vent'anni di scuola e di esperienza, avea voluto mostrare come si potesse ricostruire il tipo, che pareva perduto, del perfetto oratore. A cui, per essere compiuto, nulla doveva mancare: nè la santità dei costumi, nè la molta e squisita dottrina, nè la facondia elegante ed efficace. Ciò che i Romani in molti secoli di studj avean sempre cercato di conseguire, ciò che in ogni tempo era-stato, ed era ancora lo scopo primario della loro educazione, si trova son per dire condensato in queste pagine; nelle quali colla cura del padre e del maestro Quintiliano ci viene.insegnando come si possano formare ad un tempo gli uomini onesti ed i buoni parlatori. L'eloquenza, e la retorica che l'insegna, sono per la prima volta trattate sistematicamente come una vera enciclopledia del sapere, nella quale i due ideali dell'arte e della virtù si abbracciano e si compiono a vicenda.
Già alle scuole socratiche era parso che scienza e bontà fossero la stessa cosa : parve ai Romani fin dall'età di Catone, che a conseguire la perfezione dovessero l'una e 1' altra essere anche eloquenti. Così soltanto i frutti della istruzione famigliare e della privata meditazione diventavano publici e vantaggiosi allo stato, perchè la cogniz'one delle più utili verità si propagava per bocca dell'oratore nelle moltitudini. Il quale oratore era, o doveva essere, come altre volte si disse, nel concetto delle scuole romane, il maestro e duce di quel popolo di cui volgeva a sua posta gli affetti e dirigeva i consigli.
Ed appunto perchè i tempi erano quanto mai contrarii ad un si bello ideale, e i maestri piucch' altro colle vuote declamazioni e le più vane o ridicole controversie venivano struggendo nella gioventù ogni buon germe d'ingegno, e spegnendo ogni resto di serietà e di morale energia, s'haa dar lode a Quintiliano dello zelo e della costanza colla quale difese le gloriose tradizioni dell' eloquenza latina , ed a Vespasiano (che gli diede agio d'aprire a spese del fisco la prima publica scuola di retorica) di avere pel primo creduto, che mettesse conto allo stato di migliorare le scuole e gli studi, per migliorare gli uomini ed i costumi. Egli adunque s'adoperò principalmente a richiamare a giudizii più severi gli oratori traviati da un genere di eloquenza corrotto e guasto da ogni sorta di vizii; i quali erano tanto più pericolosi per-
(1) Alla fine del dialogo così parla Materno ai suoi graziosi avversarli : « Credile, optimi, et in quantum opus est disertissimi viri, si aut vos prioribus saeeulis ani dli quos miremur liis nati essent, ac deus aliquis vitas ac tempora vestra repente mutasset-, nec vobis suniina Ma laus et gloria in cloqucntia, neque ibis modus et temperainentum defuisset Nunc quoniain neuio codoni tempore adsequi potesl magnani famaiu et magnani quietem, bono seculi sui quisque ci tra oblreclattonem alterius utalur. »