capitolo vI. — quINTa età'. 243
Uno 40, l'altro 60 milioni di nostre lire, e i nomi loro si conoscevano nelle estreme parti del mondo, non meno che a Capua ed a Vercelli dove erano nati.
Questa sorta di eloquenza era quella che più dava agli avvocati onori e profitto. Nò, guardando ai tempi, ci farà meraviglia, se avara d'oro e di sangue com'era, nata da cattivi costumi e, al dir di Materno, huona più ad offendere che a sanare, essa paresse ai contemporanei di Plinio e di Tacito « uno studio, che maginar non si può lo più utile per la roba, magnifico per la dignità, famoso alla città, splendente per lo rinomo per tutto l'imperio, e tutte le genti. » Avvezzi o costretti, a misurare la bontà di ogni cosa dall'immediata utilità, niente poteva a loro parere più bello e più sicuro di quest'arte, armato della quale uno poteva a suo grado difendere amici, ajutare stranieri, salvare pericolanti, ina più che tutto impaurire 11-vidiosi e nemici, stando lui sempre in una quasi perpetua podestà e potenza. Che se un qualche proprio pericolo minacciasse l'oratore, nè corazza, nè spada lo poteva difendere così bene, come io scudo e l'arine di questa sua eloquenza in giudizio, in senato, davanti al principe (1).
Son dunque molti gli oratori che cercarono per questa via ricchezze e potenza, e per ricordare solo i più celebri, aggiungeremo ai già menzionat Domi/io Afro ed Aquilio Regolo, venuti in grande rinomanza quegli sotto TiDerio, quest sotto Nerone e Domiziano. Crispino , Messalino, Vejentone ed altri sono noti per le loro scelleratezze, non per alcun chiaro lume d'eloquenza.
E giova dire che la eloquenza nuova, principiata con Cassio Severo e con tanto calore difesa da M. Apro nel Dialogo degli Oratori, rapida, vibrata, concettosa, che senza avvolgersi in lunghi e complicati ragionamenti va diritta allo scopo, e pur di commuovere e convincere gli animi non ìsdegna di giungere colle blandizie poetiche più gradita agli orecchi, conveniva assai più ai nuovi ufizi dell'oratore che non la tarda e misurata magniloquenza di Cicerone. Era la sola, come già s'è detto, che piacesse ai giudici e pareva nata apposta per gli accusatori. Aquilio Regolo, conversando un di con Plinio, e ridendosi di quelle sue cautele oratorie, di que'giri e rigiri coi quali studiavasi d'imitar Cicerone, gli disse: « Tu credi di dover trattare tutte le parti della causa, io vedo subito dov'è lei gola, e la siringo » (2).
Questa era veramente la eloquenza dei tempi; la quale se si bruttò troppo spesso di sangue innocente, non mancò tuttavia d'utilità, nè di gloria. Non fosse altro, propagò e rese accetto all'universale un dire ed uno stile più libero, più serrato e vigoroso ; ed avvezzò tanto gli oratori quanto gli scrittori a curar più le cose che le parole, più la profondità e l'elficacia dei pensieri che il nitore 0 la sonorità della forma. E nel cluenderla contro i biasimi de'puristi, non aveva torto Marco Apro di asserire, che varii sono i generi di eloquenza, ed essa muta di necessità cogli anui e coi costumi, nè può dirsi peggiore delia precedente solo perchè sia diversa.
Ma dopo d'avere riconosciuti questi suoi pregii, dobbiamo pur ripetere ch'essa segnava un gran passo nella via della decadenza, e che non erano infondati i timori di que'pochi, i quali per correre al riparo la volevano ricondurre all'imitazione de' grandi esemplari, da cui già troppo, a parer loro, si era discostata. Questa era la questione urgente delle scuole latine, e fu con modi ed animo diversi trattata nel Dialogo degli Oratori, che già più volte abbiamo menzionato, e nel libro di Quintiliano, che andò perduto, sulle cause della corrotta eloquenza.
Tacito pensatore prima che retore, e quantunque scrivesse quel suo libro in età giovanile, avvezzo già a vedere gii intimi e più lontani rapporti delle cose, non può disgiungere la mutata fortuna dell'eloquenza da quella dello stato, nè separare l'arte dai costumi, e trova addiiittura le cagioni dei decadimento nella corrotta educazione; la quale, come già vedemmo, più che dalle cattive scuole procedeva dalla per vertita costituzìone della famiglia. E mentre riconosce e confessa i difetti dei moderni oratori,
(1) Dialogo degli Oratori. Gap. 8.
(2) « Dixit aliquando mihi Regulus, cimi simnl adessemus ; tu omnia quae sunt in causa putas exsequenda, ego iugulum statini videa, hunc premo » Plinio Epist. Lib 1. 20.