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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   libro i'rimo.
   e sopratutto avvantaggiarsi di quel bisogno d'ozio e di pace, che traeva gli uomini agli studj come, all'ultimo e più sicuro rifugio contro le tempeste della vita. Poi le nuove vie schiuse ai commerci, mercè la conquista o la cognizione di nuove genti e paesi, e l'affluenza continua in Roma di forestieri da ogni parte dell'impero offrivano larga materia di ricerche, di considerazioni e di confronti, onde si giovarono principalmente quelle discipline, che meno erano state fin qui curate dai Romani, come la geografia e le scienze matematiche e naturali. I progressi della letteratura e della lingua, che tanta strada avean fatto nel secolo di Cicerone e di Augusto, e gli insegnamenti diffusi in si gran copia dai libri e dai maestri greci avevano dato un potente impulso all'erudizione ed alla grammatica; e già s'è visto quali argomenti di studio traessero i poeti, gli storici ed i filosofi dai costumi del tempo (1). Nessuna maraviglia adunque se il numero degli scrittori fu grande, e per la fortuna delle lettere fors'anche soverchio.
   Ma d'altra parte essi mancavano di libertà, la quale sotto i primi successori di Augusto era perita affatto. Ciò che Tacito diceva degli storici di quel tempo può valere per tutti: ed i migliori ingegni dovevano adulare il principe o, se potevano, tacersi, perocché assai volte pure il silenzio era colpa e cagione di morte. 'Vespasiano e Tito vennero troppo tardi, e quel po'di bene, che essi fecero, fu tosto distrutto dalla cupa tirannide di Domiziano. I superstiti della quale non ebbero sotto Nerva e Trajauo quasi altro vantaggio, che di riconoscere e poter dire quanto in que'tristi anni avessero patito e perduto. E quantunque Tacito dicesse, che essi avevano conciliato la libertà col principato, e chiamasse felicissimi que' tempi, perchè ognuno vi potesse pensare ciò che volesse, e dire quel che pensasse, non è da credere che il essenza del governo imperiale fosse veramente mutata. Il fiume scorreva sempre nello stesso senso: solamente, diceva Plinio, da quel benignissimo fonte un qualche ruscello discende infino a noi ; il che valeva quanto dire che la somma de' poteri restava tutta nelle stesse mani, e che quella maggior libertà di cui godevano era un dono del pi mcipe, non un diritto dei cittadini.
   E gli effetti del dispotismo sugli ingegni furono due: il primo di ridurli, come già si disse, al silenzio; l'altro di farli rientrare in sè stessi, di costringerli a meditar lungamente innanzi di parlare o di scrivere, rendendoli pei tal guisa o più profondi o men since.d. Che fu il caso più frequente ; giacché gli uomini quando debbono nascondere paurosamente il proprio naturale, e parere diversi da quel che sono, diventano di necessità falsi ed affettati.
   Ma ciò ancora non bastava: perocché essendo, o credendo di essere continuamente guardati dalle spie, i Romani di questa età dovevano prendere la posa e gli atteggiamenti come di gente che stia sempre esposta agli occhi del pubblico, la quale calcola e misura F impressione che i suoi atti e le sue parole son per fare su chi la guarda ed ascolta; dovevano, in breve, come attori che vogliano essere applauditi, aver studiata e recitar bene la loro parte (2), E s'aggiunga che quanti più sforzi uno aveva fatti per non soccombere in questa lotta d'ogni giorno contro la scelleratezza degli uomini o l'iniquità della fortuna, tanto maggior stima concepiva di sè medesimo; giacché la coscienza degli ostacoli superati invaniva fac. mente gli animi, come il proposito di nulla detrarre alla gloria 11 rendeva imperterriri nei pericoli, insensibili ai più atroci dolori (3). Inoltre la nessuna sicurezza del presente e l'angustie continue, nelle quali vivevano, li faceva essere inquiel , volubili, e frettolosi di spendere l'ora fugace, chi nelle ebbrezze dei sensi chi in taluna di quelle opere che almeno consolano gli autori colla speranza della hnmorta. tà.
   E questo carattere del tempo s'è pure stampato nel loro modo di scrivere. Tutto che è semplice e naturale pare goffo e scipito, il discorso vuol essere piccante, lusinghiero e che sfavilli; perciò s'adorna amorosamente di motti, di sentenze, di figure
   (1) Vedi sopra a pag, 238, 259 c 240.
   (2) Teuffcl, Rum. lilt, pag. mi.
   (3) Vedi ciò che di Trasea dice Tacito. Ann. XIV, 49.