capitolo vI. — quINTa età'. 237
come agli occhi de'loro mariti e figli volessero ornarsi anche di quella bellezza che viene dalla dottrina e dall' ingegno. E quando pure le donne, eziandio d'alti natali, non avessero altri titoli alla nostra lode, non furono esse in questa età le pr. ne ad accogliere, diffondere e santificare col martirio la nuova religione'?
Inoltre, se crediamo a Tacito, che non fu facile lodatore de'suoi tempi, anche il lusso e la prodigalità de' banchetti s'erano da Galba in poi molto diminuiti. Ed egli ne dà questa ragione, che alla vecchia aristocrazia, fiaccata, per non dire distrutta, dalla sevizie dei Cesari, era succeduta una nobiltà nuova, arrivata dai municipi) dalle colonie e dalle provincie, la quale aveva portato in senato ed in città la domestica parsimonia. E quantunque per fortuna o per industria molti di loro giungessero ad una vecchiezza doviziosa, non mutarono per questo animo e costume, Ma autor principale di severi costumi fu Vespasiano, dando a tutti l'esempio di vivere e di vestire all'antica. L'ossequio al principe e l'emulazione fecero più che le leggi ed il timor delle pene.
Dunque non fu malvagio da ogni parte neppur questo secolo; ed a Tacito non ispiacque di poter dire, che non tutto era meglio presso gli antichi, e che anche l'età sua aveva pur dato qualche esempio degno d'essere imitato dai posteri. « Non omnia aput priores meliora, sed, nostra quoque aetas multa laudis et artium imitanda poster is tulit » (1).
Certo è che primamente sotto l'impero fu mercè la filosofia e la giurisprudenza migliorata la condizione degli schiavi; e la gara di venir in soccorso alla povertà sia colla publica e colla privata beneficenza , sia colle fratellanze delle arti e delle diverse classi della popolazione, ci dimostra che gli animi s' eran da lungo tempo aperti a sensi più umani. E il cristianesimo potè nel suo nascere valersi di queste provvide opere, e profittando dei privilegi che ad esse eran stati concessi dagli imperatori, estendersi ed ingrandirsi all'ombra della carità pagana. Due grandi atti di giustizia erano poi, come già si è detto, in via di compiersi: l'elevazione de'proletarii e degli schiavi alla dignità d'uomini, e de'forestieri a quella di cittadin Ed anche per la educazione dei figliuoli quanti savii ed amorosi ammaestramenti non si leggono nelle scritture di questo secolo, che pur nei fatto parve averne sì poca cura?
Ma a ben intendere i motivi e l'indole delie lettere romane in questa età bisogna innanzi trtitto riflettere, che esse avevano ufficio di continuare e dì estendere quel moto di opinioni, di sentimenti, di dottrine, in breve quella corrente di civiltà, che venuta una prima volta in Roma dalla Grecia, da Roma tornava ora a diffondersi in tutte le parti del vasto impero. E difatti, mentre per Roma lavoravano da più che due secoli maestri e scrittori greci, e s'inaugurava son per dire un'età romana della letteratura greca, la lingua e la letteratura latina prendevano stanza nelle Gallie, nella Spagna, nell'Africa; e queste lontane provincie mandavan in breve volger d'anni alla capitale una illustre schiera d'oratori e di poeti. Così, in prò della dominazione romana e della comune coltura dei popoli ad essa soggetti, le lettere esercitavano quasi un publico ministero di istruzione e di educazione ; fondevano le diverse genti fra loro e con Roma, e le preparavano insieme a rivivere di vita propria quando l'unità dell'impero si fosse spezzata.
Questa era, se mi si concede la parola, la missione civile e politica delle lettere, le quali essendo diventate con Augusto una istituzione nazionale, ragion voleva che dai principi stessi fossero con singoiar premura protette e curate. E così intendiamo, che Augusto albergasse nel suo palazzo il grammatico Verrio Fiacco con tutta la sua scuola, che Vespasiano, con un esempio il quale venne imitato dai suoi successori, fondasse in Roma una publica cattedra di eloquenza e la desse con un decoroso stipendio a Quintiliano, che Antonino il Pio incoraggiasse le grandi città ad erìgere scuole di medicina, di retorica e di grammatica. Il medesimo Vespasiano e dopo di lui Adriano vollero che ai maestri, agli oratori, ai medici ed ai fiiosofi fosse concessa l'immunità delle cariche municipali. Nè in queste provvide cure degli im-
(1) Annali, III, 55.