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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   libro i'rimo.
   Or bene può far meraviglia che in una società d'uomini siffatti, non d'altro avidi che di ricchezze, di pompe e di piaceri, dagli spettacoli sanguinosi, come dai pericoli nei quali continuamente versavano, avvezzati a stimar tanto poco la vita degli altri quanto a far getto della propria, omicidi per avarizia od ambizione e suicidi per noja o per tema d'una morte peggiore, può, dico, far meraviglia che dal seno di una gente tanto corrotta uscisse ancora una così ricca e bella letteratura. Ma è da dire innanzi tratto che la corruzione de' costumi in una città, stata come Roma si a lungo potente e gloriosa, non poteva essere ancora tanto generale, che non lasciasse luogo a molti begli esempi di probità e di temperanza. L'antico valore non era morto ne'cuori de'Romani, e di fronte ai nomi dei più tristi delatori, quali furono Crispino, Messalino, Eprio Marcello, Vibio Crispo, Aquilio Regolo, Vatinio si possono collocare le gloriose memorie di Elvidio Prisco, di Peto Trasea, d'Aruleno Rustico, d'Erennio Senecione, di VerginiofjRufo, di Spurinna ; ed ammirabile sopra tutti la modesta figura di Giulio Agricola, che ai suoi contemporanei ed a' posteri insegnò come anche sotto cattivi principi si possa essere onesti uomini e valorosi cittadini. Scorrendo le lettere di Plinio noi ci troviamo in una numerosa comitiva d'uomini onoratissimi, e dobbiamo sopratutto ammirare quella colta e brava gioventù, che egli con tanta sapienza ed amore proteggeva e consigliava, e di cui molti venivano acquistando bella fama d'oratori ne' tribunali, altri militavano sotto Trajano nelle legioni del Danubio. E quantunque sia da credere che i cattivi libri, le pitture oscene, i banchetti ed il teatro corrompessero assai facilmente il molle animo delle zitelle e delle matrone romane, offrendo loro continue occasioni ed incentivi al peccare ; quantunque sia per molti casi provato che lo spettacolo dei gladiatori le rendeva spietatamente crudeli coi servi e colle schiave (1), e si sappia che la maggior parte eran dedite al culto delle più laide e ridicole superstizioni (2), nondimeno non si può dire che mancassero in questo secolo le buone madri e le caste spose, ornamento del loro sesso ed onore del marito e della famiglia (3).
   Le stesse lettere di Plinio ci porgono una bella corona di donzelle e matrone nobilissime, e nei giorni più tristi del dispotismo imperiale, quando si chiedeva lor conto fin delle lagrime che spargevano in memoria delle vittime, le donne diedero più d'una volta agli uomini l'esempio del coraggio, della fedeltà e della devozione spinta fino al sacrificio. Se colle preghiere non potevano ottener grazia pe'loro cari, li seguivano alla morte o nell'esiglio (4). E le vinse tutte per grandezza d' animo quell'Arria (5), che dopo essersi trafitta presentò il pugnale al manto, dicendogli: Pete, non dolet. La stessa piacevole caricatura, che ci fa Giovenale della donna letterata (6), prova non foss'altro il grande amore che esse avean posto agli studi, e
   (1) Ecco, quale ce lo descrive Giovenale, il mattino d'una signora che si è levala di mal umore :
   Est, preliuin curae penitus cognoscere, tolo Quid faciant agitentque die. Si nocte maritus A versus jacuit, periit libraria, ponimi Co$metaa timicas, iarde venisse Liburnus Dicilur et poenas alieni pendere somni « Cogitar: Me frano il ferulas, rubet ille flagello, Ilio scutica: sunt quae tortoribus annua praestent. Verberat atque obiter facietn linit, audit amicus Aut latum pietà,e vestis considerai aiiruni Et cuedit; longi relegit transversa diurni Et caedit, donec lassis caedenlibus: exi Intonet ìiorrendum, jam cognitione peracla.
   (2) Vedi ancora Giovenale nella sesta satira.
   (Si Le donne in Tacito. Ann. Ili, 335.
   (4) Tacito. Ann. XV, 64, XVI, 10, ecc., 30, ecc. Vedi Friedlander. T. I, pag. 406.
   (5) Di questa ci racconta altre azioni magnanime Plinio nelle lettere. III, 16.
   (6) Sai. VI, 454, ecc.