232 Libro primo.
Quando in un popolo la vita privata sia stata per molto tempo connessa colla vita publica in modo , che le virtù e gli ornamenti di quella paressero dipendere dalle necessità di questa, che la carità di patria fosse son per dire l'unico fondamento della moralità, e si avesse ad essere buon manto, buon padre, buon figliuolo, accorto massajo, uoin dotto e parlatore eloquente quasi non per altro che per riuscir all'ultimo buon cittadino, deve naturalmente accadere che le virtù private si dileguino man mano che le virtù publiche diventano inutili o pericolose. Alcuni pochi cominciano allora ad intendere che l'uomo può e deve essere onesto per sè medesimo, perchè i motivi della virtù soverchiano i confini della patria; ma le idee ed i sentimenti morali di tutto un popolo non si correggono così facilmente come queir d' una persona, ed innanzi che questo salutare mutamento accadesse, i Romani dovevano vedere altri secoli di vizii, di scelleratezze e di vergogne.
Le quali parrebbero appena credibili se non ci fossero comprovate dalla concorde testimonianza degli scrittori. Perocché le invettive di Giovenale, i sermoni di Persio e gl. epigrammi di Marziale, quando si tolgano Je esagerazioni, che sono proprie dei poeti satirici, non dicono nulla che non sia confermato dai racconti di Tacito e di Svetoniu. E meglio forse dalle amare confessioni di Seneca, il quale, ricco di fortuna e potente nei consigli del principe, dovette cercare nelle consolazioni della filosofia la sola efficace difesa contro quelle malvagità e miserie, delle quali fu dapprima parte non innocente e poi vittima rassegnata. E la frequenza istessa delle leggi e dei rescritti, che ad ogni mutar di regno si facevano o si rinnovavano per favorire i matrimoni, punire gli adulterii, frenare e correggere le inatte voglie del gioco e dei piaceri, che altro provano ancora se non la grandezza del male e la inutilità degli sforzi fatti per contenerlo1? Con un governo che precludeva ogni via alle oneste ambizioni, che costringeva la virtù ad esser modesta ed oscura per non diventar pericolosa, che affine di levare ai cittadini la voglia di occuparsi de'publici negozii, lasciava che sciupassero l'animo, i patrimonii e la vita partegj. andò nel teatro e nel circo per mimi, gladiatori e cavalli (1), con imperatori che davano alla nobiltà l'esempio o l'ordine dei vizii più abbietti, delle azioni più turpi e disonorevoli, come non doveva a poco a poco sperdersi fin la memoria dei buoni an-ticli costumi, e 'imaner ubero il campo alle più sfrenate libidini alle cupidig .e p ì avare e crudeli1?
L'età imperiale, dice Schmidt (2), era un misto di voluttà e di sangue. Al diletto s'accompagnava sempre la crudeltà, ed una notte di piacere si terminava coll'ucci-sione della druda, come le drude avevan posio lor case presso all'arena, dove scorreva a rivi il sangue dei gladiator Lo spettacolo più gradito era quello di veder gli uomini morire per mano d'uomini, o sbranati dalle fiere. Seneca narra di una matrona la quale contava gli anni non dai consoli, ma dai mariti (3), e le donne, secondo l'auuacissima frase di Marziale, erano adultere per legge. Non contente degli amanti del loro ceto, esse li cercavano avidamente nella feccia del popolo, tra
(1) Sopra le fazioni teatrali vedi ancora FriedUinder. Voi. II, lib. VI.
(2) Geschichte der Piidagogik: Erster Band, S, 431.
(3) De Benef. Ili, 14, 2, e Giovenale nella sesta satira, che è tutta una crudele invettiva contro le donne, dice che molte mogli si separavano dai loro mariti innanzi che fosse aisseccato il verde ramo, che avea ornato la porta nuziale, e venivano quindi a contare fino ad 8 mari in 5 anni.
Imperat ergo viro; sed mox haec regna relinquit Permutalque donius et flammea conterit; inde Avolat et spreti repetit vestigia lect Ornatas paulo ante fores, peudentia liuquil Vela domus et adhuc virides in limine ramos. Sic crescil nuinerus, sic fiunt octo mariti Quinquc per autumnos, titulo res digita sepulcri.
(VI, 224, ecc.)