224 libro primo. — capitolo iv. — terza età'.
avevano già mostrato ai Romani che cosa potessero aspettarsi dai suoi successori. Gli esilii di Cassio Severo e di Ovidio avvertivano gli oratori ed i poeti intorno ai pericoli di spiacere comechefosse al principe, da un cenno del quale pendevano oramai la fortuna e la vita di tutti i cittadini.
Pertanto, dopo d'avere lungamente esposta e considerata in ogni parte la storia di questa età, ci pare di poter conchiudere ch'essa fu grande e gloriosa massimamente per questo, che, cominciata colla libertà, ne portò seco fin quasi al suo termine lo spirito e la ricordanza- Essa fu liberissima nella eloquenza fin presso agli ultimi respiri di Cicerone, fu liberissima nella storia con Cesare e con Sallustio, e neanche a Livio fu vietato di aprire sicuramente l'animo suo ; libera sul teatro e nella satira, accettò negli altri generi di poesia sotto Augusto que' soli vincoli, che le erano imposti dalla comune riconoscenza al ristauratore dell'ordine e della pace, e dalla privata gratitudine al protettore ed all'amico. Ma l'amor di Roma antica e il desiderio delle virtù e degli uomini che la fecero grande vive nelle odi di Orazio non meno potente che ne'poemi di Virgilio; che se vi si mesce pur tratto tratto un sottile senso di sfiducia e di stanchezza, se vi traspare il desiderio e come il presentimento di un nuovo ordine di cose, che riconduca non tanto tra i cittadini, quanto tra tutti gli uomini la giustizia e l'amore, in ciò dobbiam vedere un nuovo pregio di questa letteratura, la quale posta fra due secoli ci potè nella sua varietà descrivere con che dolori l'uno finisse, e con quali contrarie sperante l'altro si preparasse ad incominciare.
Più bella letteratura non rappresentò mai un più grande rivolgimento morale e politico; degna fu essa de'tempi che ritrasse, e i tempi furono degni di passare per lei così celebri alla memoria de' posteri.