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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO IV. — TERZA ETÀ1.
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   l'oratore sia valente, anche mancando lo scritto, il discorso prosegue istessamente rapido ed eguale sino alla fine com' ha cominciato (1).
   Questi savii precetti si dettavano agli oratori romani sul finire della Repubblica, e sotto l'ultimo dei Flavii li ripeteva Quintiliano coll'aniino di contrastare a quella perniciosa facilità di parlare e di scrivere, che già a' suoi tempi, com'ora ai nostri, minacciava di struggere ogni buon seme di futura eloquenza. « Fa mestieri (scrive nel lib. X, cap. 3) di scrivere con tutta la diligenza possibile, e scrivere più che si può. Imperocché siccome la terra più profondamente scavata, più feconda diviene a far germogliare ed a nutrir le sementi; così il profitto che non sia superficiale, mette fuori in maggior abbondanza i frutti degli studj, e più fedelmente li conserva. E a dir il vero, se altri non è consapevole a sè stesso di aver usato questo mezzo, il talento stesso di parlar all'improvviso non produrrà che una vana loquacità, e parole che nascono sulle labbra. Colà son le radici, colà i fondamenti dell'eloquenza; colà stanno le ricchezze riposte come in un sagrosanto erario, donde al bisogno si possano estrarre anche per gli accidenti improvvisi. »
   Così i migliori ammaestramenti di questo gran secolo passavano l'un appresso dell'altro nelle scuole latine, e vi davano la norma agli scrittori ed agli oratori anche dopo che, per la miseria de' tempi, o per altre cause più a loro vicine, le lettere erano decadute dall'antico splendore. E giustamente; perocché essi erano dedotti dai più semplici dettami della ragione e del buon senso, erano conformi ai canoni elementari dell' arte ; e confortati dalla autorità di tanti illustri poeti e prosatori.
   Nè diverso giudizio ebbero a darne i letterati e gli scrittori delle nazioni moderne, i quali dai primi istanti del risorgimento sino all'età nostra non cessarono di guardare ai capolavori di questo secolo, come ai più insigni monumenti dell'ingegno e dell' arte romana. E vi ammirano sopratutto le svariate attitudini degli scrittori, l'elevatezza, il vigore, la chiarezza dei concetti, e la precisa perfezione della forma Perocché, conciliando la gravità romana colla greca venustà, essi avean saputo serbare nella espressione d'ogni maniera di bellezze la giusta misura, ed essere eloquenti senza gonfiezza, imaginosi senza stento, tersi ed eleganti senza freddezza od affettazione.
   Ma insieme con queste ed altrettali bellezze, che adornano i loro scritti, essi non potevano trasmettere alle vegnenti generazioni anche lo spirito che le aveva create, perchè la libertà era perduta da un pezzo , e gli ultimi anni di Augusto
   (1) Lib! I. 55, 180 ecc. E per la loro importanza trascrivo qui le proprie parole di Cicerone. « 180. Vere enim etiam illud dicitur, perverse dicere homines perverse dicendo facillime consequi. Quamobrem in istis ipsis exercitationibus, etsi utile est etiam subito saepe dicerc, tamen illud li li usi sumpto spatio ad cogitanduin, paratius atipie accuratius dicere. Caput autem est, quod, ut vere dicam, minime facimus — est enim magni laboris, quem plerique fugimiis —, quam plu-rimum scribere. Stilus optimus et praeslantissimus dicendi effnetor ac rnagister; neque iniuria.Nani si subilam et fortuitam orationern commentario et cogitatio facile vincit, liane ipsam profeclo adsi-dua ac diligens scriptnra superabit. 181. Onines enim, sive artis sunt loci sive ingenii cuiusdam ac prudentiae, qui modo insunt in ea re, de qua scribimus, anquircntibus nobis omnique acie ingeni contemplanlibus ostendunt se etoccurrunl; oinnesque senlentiae verbaque omnia, quae sunt cuiusque generis maxime illustria, sub acumen stili subeanl et snccedant necesse est, fum ipsa collocalio con-formotioque verborum perrteitur in scribendo, non poetico, sed quodam oratorio numero et modo. 182. Ilaec sunt, quae clamores et adiniraliones in bonis oratoribus efficiunt: neque ea quisquani, nisi din niiiUumquc scriplilarit, eliamsi vchomentissimc se in his subilis diclionibus exercuerit, con-sequetur. Et qui a scribendi consuetudine ad dicendum venit, liane adfert facultatem, ut, ctiam subito si dicat, tamen ilìa, quae dicantur, similia scriptorum esse vidcantnr; atque etiam, sì quando 111 dicendo scriptum atlulerit aliquid, quum ab eo (liscesserit, reliqua siniilis oratio conscquetur. 155. Ut concitato navigìo, qumn remiges inhibucrunt, relinct tamen ipsa navis motum et cursum suum, intcrriiisso nnpetu pulsuque rcmoru.n, sic in oratione perpetua, quum scripta deficiunt, parom 'amen obtinet oratio reliqua cursum, scriptorum similitudine et vi concitata. »