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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   222 LIBRO i'RIMO.
   il ritmo è naturale all'uomo, volessero clic anche quelle poche voci fossero appajate e divise da uguali respiri. « Vili veteres , sieul lioclie etiam nonnullos videmus, cum eireultum et quasi orberà verborum eonfìcére non possent (nam id quidem nuper vel posse vel audere eoepimus), terna aut bina aut nonnulli singula etiam verba dleebant; qui in illa infantla naturale illud, quod aures hominum flagitaba,nt, tenebant tamen, ut et illa essent paria, quae diecrenl, et acqualibus interspiratlo-nibus uterentur » (De Or., 3, 51, 198.)
   E di qui impariamo, che se la teorica e l'arte del ritmo oratorio erano novelle, il sentimento ne era però antico, e potremmo anche dire inseparabile dall'eloquenza. Giacché non crediamo che sia inai stato possibile di parlare efficacemente alle moltitudini col tono piano, semplice, uguale d'un discorso privato; e gli oratori, poco diversi in ciò dagli istrioni, dovettero certamente fin da principio apprendere a modulare la voce, ed a disporre con una tal quale arte le parole, se volevano vincere i tumulti del foro e commuovere chi gli ascoltava. E quantunque le condizioni dell' eloquenza sieno oggidì lungamente mutate in ogni paese, non resta men vero l detto di Cicerone, che nulla è tanto congenito agli animi nostri quanto la musica ed il canto, e che però noi concediamo assai facilmente il nostro assenso a chi con una parola ornata ed armoniosa sappia persuaderci e dilettarci ad un tempo.
   E queste doti dello stile, che siamo venuti fin qui esponendo : cioè, che fosse latino, acconcio all'argomento, ornato ed armonioso, non credevano i Romani che si potessero altrimenti ottenere che collo scrivere moltissimo. Non eran essi di quella comoda opinione, la quale, con danno gravissimo della lingua e della letteratura, torna oggi a farsi strada tra noi, che uno debba scrivere come parla, e che per conoscere la propria lingua e valersene rettamente non sia mestieri di cercarla nei classici. Più savi e più modesti di noi essi insegnavano, che solamente collo scriver molto e bene s'apprende la potenza e l'abitudine di ben parlare, e che l'eleganza del dire si forma principalmente colla lettura degli oratori e dei poeti (1).
   La verità è, scrive ancora Cicerone nel De Oratore, che, parlando male, gli uomini con grande facilità riescono a parlar male. Onde se l'esercitarsi a dire all' improvviso può essere utile all' oratore, gli torna a maggior vantaggio il parlare più accurato e pronto dopo che abbia preso tempo a pensare. Ma la cosa sostanziale, e quella che, a dir vero, facciamo meno (giacché il farla porta fatica, la quale i più schivano), è che si scriva moltissimo. Lo stile è il migliore e più prestante fattore e maestro d'eloquenza; e non a torto. Perocché se chi si prepara e medita vince della mano chi parla all'improvviso e come vuole il caso, non è dubbio ch'egli sarà alla sua volta superato da chi faccia un continuo e diligente esercizio di scrivere. E difatti . vari punti dell'orazione, che stiamo scrivendo sì quelli che dall'arte istessa ci sono suggeriti, e sì quegli altri che dobbiamo trovar noi col nostro ingegno ed avvedimento, mentre noi li cerchiamo e con tutto l'acume della mente li veniamo considerando, ci si affacciano e ci si fanno incontro da sè; e tutte le sentenze, tutte le parole che meglio s'addicono a ciascun genere d'eloquenza e lo fan più bello, di necessità ci passano sotto la punta dello stile, e l'una appresso dell'altra la seguono; infine le parole istesse scrivendo si collocano in quell'ordine e prendono quella forma, onde nasce il ritmo e la modulazione oratoria. Questi sono i pregi che ai buoni oratori procacciano l'ammirazione e gli applausi del pubblico: ma nessuno li acquista senza aver molto scritto e per molto tempo, quantunque possa essersi fortemente esercitato nel dire improvviso. E chi viene a parlare dopo d'essersi lungamente esercitato a scrivere, porta con sè la facoltà di far parere, che sieno simili a scritte anche quelle cose che dica all'improvviso. Inoltre, se parlando gli accada talvolta di recare in mezzo e di leggere alcun suo scritto, comechè poi se ne diparta, il resto del discorso continua tutto sull'uguale tenore. Come avvien d' una nave, la quale sia spinta a forza di remi, che se i rematori ristanno all'improvviso, essa mantien l'impeto che le fu dato e seguita ugualmente il suo cammino; così, se
   (l) Omnis loquendi eleganfia, quamquam expolitur menda littcrarum, tamen augetur legendis oratoribus et poelis. » Do Orai., IH, iO, 59.