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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo iv. — terza età1. 217
   è diverso da sè medesimo Cicerone secondo che Ange di parlare al senato, ai giudici ed al popolo, oppure di conversare famìgliarmente di eloquenza o di filosofìa (diversissimo nelle lettere che scrive ai congiunti ed agli amici), così Cesare stesso lien altro modo di scrivere ne' racconti, dove i periodi corron rapidi e brevi, e ne' discorsi che son composti con tutte le regole della sintassi oratoria. Se non che tra oratori, storici, filosofi e scienziati le differenze non erano ancora tanto grandi come tra prosatori e poeti. Qui vi erano veramente due lingue diverse, che per tutta la durata dell' età classica non si confusero mai, come non si confusero da noi ne' due grandi secoli di Dante e dell'Ariosto. E giova dire che questa separazione tra la prosa e la poesia risale alle stesse origini della letteratura, fondata com'era nella natura delle cose, ed in quella felicissima proprietà, che hanno le sole lingue classiche, di sapersi atteggiare diversamente secondo la qualità de! soggetti e secondo la dignità e l'animo di chi paria. E i Romani di questo secolo ne erano tanto persuasi, che Orazio non riteneva di meritar il nome di poeta per aver scritto de' componimenti così somiglianti alla prosa com'erano le satire. Nel quale giudìzio comprendeva anche la comedia, parendogli che essa tanto nelle parole quanto nei pensieri non manifestasse quell'alta ispirazione e quella forza che fa la vera poesia, e che perciò differisse dalla prosa solamente per essere scritta in versi (1).
   Pertanto, a tacer de'vocaboli, delle locuzioni e delle figure che da sole farebbero un ricco dizionario, la poesia si allontana qua e là dalla prosa anche in parti essenziali della grammatica, come, per cagion d'esempio, nella declinazione de' nomi, nella conjugazione dei verbi, nella formazione degli avverbii, nella sintassi de' casi, nell'uso dei tempi e dei modi. L'ellenismo ne aveva invaso e penetrato ogni più riposto angolo ; tantoché grecamente si formavano, declinavano e scrivevano non pure i nomi greci, ma talvolta anche i latini (2). La qual moda di tutto grecizzare crebbe e si estese quanto più s'andava innanzi, onde nei poeti degli ultimi anni d'Augusto si era fatta norma e costume quasi universale. E ad essa dobbiamo, per non ripetere qui tutto ciò che si può leggere in ogni buona grammatica : l'accusativo cosi detto di relazione coi verbi passivi, i quali per esso assumono quasi una nuova significazione attiva, coi participii passivi ed anche cogli aggettivi; il dativo assai frequente con varie sorta di verbi (esprimenti moto, stato, combattimento) invece dell'accusativo o dell'ablativo con preposizioni, le diverse maniere di attrazione, che tutte egualmente tendono a rendere la frase più'densa ed animata, e, per terminare, l'infinito adoperato a tanti usi quanti sono i rapporti che in prosa si debbono esprimere con ut ed il congiuntivo, coi gerundii, gerundivi e supini (3).
   Procedendo per questa via i poeti preparavano un ricco corredo di voci, di forme e di costrutti, del quale i prosatori dell'età vegnente si valsero per rendere più colorite le frasi, più spigliato e leggiero il periodo, e piacer più ad una generazione che della proprietà, dell'ordine e della costante simmetria del discorso di Cesare e di Cicerone già cominciava ad annojarsi. Ma, una volta entrata nei dominii della
   (1) Sat. d, h, 39.
   » ... . me Ilnrum. dederim quibus esse poetis, Excerpam numero: ncque enim concludere ver&um Dixeris esse salis: neque, si qui seri hat uti nos Sermoni propima, pules hunc esse poetam Ingenium cui sii, cui mens divinior atque os Magna sonaturum, des nominis hujus honorem. Idc'rco qi>'lam, comoedia necne poema Esset, quae.sivere, quod acer spiritus ac vis Nec verbis nec rebus inest, nisi quod pedo certo Differt sermoni, sermo merus. »
   (2) Vedi sopra a pag. 37.
   (3) Vedi per questi ed altri esempii la sintassi di Madvig.
   Tamagni. Letteratura Romana. 23