Stai consultando: 'Storia della Letteratura Romana ', Cesare Tamagni

   

Pagina (225/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (225/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   capitolo iv. — terza età1.
   209
   di secoli e di vicende uscirono le favelle romanze, e che, ripetendosi dapertutto la separazione tra la lingua parlata e la scritta, lo stesso latino letterario prendesse dalla diversa patria di chi scriveva diverso aspetto e colore. Perciò Cicerone mentre lodava la molta dottrina ed anche la facondia di pareccln oratori del Lazio e d'altre parti d' Italia, che fiorivano a suoi tempi, e confessava ch'essi erano anche più studiosi degli stessi oratori romani, aggiungeva che al loro dire mancava il colore dell'urbanità; e nell'orazione a favore di Arcliia riprendeva di gonfiezza e di peregrinità la lingua di que' poeti cordovani, che Q. Metello Pio pur si degnava di ascoltare (1). Nè da altra causa move il biasimo di patavinità inflitto da Asinio Polhone a quel grandissimo e latinìssimo scrittore, che fu Tito Livio.
   I municipii e le Provincie gareggiavano, è vero, di zelo colla capitale nel culto della lingua e della letteratura, e le mandavano ogni tratto buon numero di chiari autori; ma non potevano far tanto, che i Romani non sentissero negli scritti di questi come a dire l'odor del paese da cui venivano, e non notassero con superba compiacenza ogni voce od espressione inen pura, che lor fosse caduta dalla penna. Così di fronte all'Italia ed alle provincie Roma studiavasi di conservare il primato anche nella lingua e nella letteratura, e la podestà di dar norma a quanti nell' impero volessero scrivere o parlare latinamente: ina l'ebbe per poco tempo, perchè Quintiliano accettava già come romane tutte le parole italiane. Omnia italica prò romanis hàbeo (I. 5-56).
   Al latino letterario italico, non più solamente romano, farà seguito in breve volgere d'anni una cospicua latinità nell'Africa e nelle Gallie.
   Del secondo fatto -fiscorre in più luoghi Cicerone, lagnandosi ogni volta che per l'affluenza di gente venuta da paesi dove si parlava male, si corrompesse quella pura lingua latina, cui fin lì più per buona consuetudine che per studio (2) parlavano tutti coloro, qui nec extra urbem vlxerant, nec eos aliqua barbaries domestica inquinaverat (3).
   Nelle nobni case dì Roma si cominciava dunque a guastare quella pura favella di Ennio e di Plauto , che Licinio Crasso udiva risonare sulle labbra di sua suocera (4); la consuetudine domestica, che fin lì avea conservato, massime per opera delle donne, il bel parlare senza altro sus^ dio di precetti o di scuole, più non bastava, ed all'uso che si pervertiva b ignava per la prima volta opporre gli argomenti della scienza. Quindi si riaccese n Roma la lite che già aveva diviso i grammatici d Pergamo e di Alessandria, se la lingua sia un fatto naturale, od un trovato dell'uomo (5), e se arbitro e sovrano di essa sia l'uso che a sua posta la muti,
   (1) Brut., 46, 169-171 , e nell'Orazione a favore di Archia 10, 26. « Qui (Q. Metellus Pius) usque eo de suis rebus scribi cuperet, ut etiam Cordubae natis poetis, pingue quiudam sonantibus atque peregrinum, tamen aures suas dederet. »
   (2) Bruto, 74, 288. « Locutionem emendatam et latinam, cuius penes quos laus adhuc fuit non fuit rationis aut soientiae, sed quasi bonae consuetudiiiis. »
   (3) Bruto, 74, «8.
   (4) Vedi sopra a pag. 82 nota (1).
   (5) Prima d'ogni altro, io eredo, trattò Lucrezio il problema dell'origine della lingua, esponendo in brevi ma potentissimi versi la dottrina di Epicuro, che la favella è nata per fatto di natura (^j'tHD non per opera di un primo inventore che l'abbia imposta agli uomini (SjVet). Perlanto egl spiega s) l'origine stessa del linguaggio, come la diversità delle voci che lo compongono, col-1'isunto, colla varietà degli affetti, col bisogno di dare nomi propri) ai ciascuna cosa. Come il bam-b'no gestisce, così l'uomo parla, e parlando esprime secondo lo slato dell'animo suoni diversi, in quella stessa guisa che diversamente nitrisce il cavallo quando amor lo sprona, e quando al suon dell'armi Sbuffa terror dalle orgogliose nari.
   V. 10'i6. At varios linguae sonitus natura subegit
   Mitlere, et uiililas espressi! nomina rerum, Non alia longe ratione atque ipsa videtur
   Tamagni. Letteratura Romana. 9,1