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ginale significazione : primo, perche essendo invalso l'uso di scrivere a piacere certe lettere con caratteri majuscoh. esso potè promìscuamente segnare tanto un i lungo quanto un i breve; e secondo, perchè già negli ultimi anni della republica s'era cominciato ad adoperarlo per dinotare 11 doppio ii. Il quale potè così essere espresso in tre maniere 1.° con un I semplice, che è la più comune, per esempio EIVS, MAIA, AIO; 2.° con un doppio ì, come, secondo attesta Quintiliano (I. 4. § 11), scriveva già Cicerone: EIIVS, MAIIA, AIIO; 3.° con un I alto.
Trovati (1 questa età sono pure l'apice per segnare in genere le vocali lunghe, il sicilico per dinotare il raddoppiamento delle consonanti, la lettera y\/ per rappresentare il suono debolissimo d'una M filiale e filialmente, se F. Ritschl ha visto il vero, i due punti (:) per indicare il suono N davanti ad S: PARE:S — parens. Ma nessuno di questi trovati ebbe lunga vita, o fu mai usato regolarmente (1).
Per le parti del discorso noi troviamo buona copia di arcaismi nei poeti deil'età republicana, massime in Varrone ed in Lucrezio (2); alcuni pochi, e cercati più per ragion di stile che per bisogno di lingua, in Sallustio. Nella metrica Varrone e Lucrezio furono gli ultimi che ancora rigettassero la S terminativa dopo una vocale breve. E rispetto all'iato, alla sinizesi, all'elisione, agli allungamenti dì vocali brevi nell'arsi, ed all'altre che si dicono licenze poetiche, e non di rado sono ricordi di antiche forme ovvero segni di volgare pronunzia, ci è pur tra i poeti dell'età di Augusto un qualche divario: fra. Virgilio, per esempio, che ne fa ancora gran uso, ed Ovidio il quale ne tolse molle e fu il primo a stabilire, massime per la sinalefe e la cesura, quelle norme le quali vennero costantemente osservate dai poeti posteriori (3). Onde gli accadde di comporre metri tanto facili, tanto piani e spontanei, che alcuna volta quasi si direbbero una prosa armoniosa, se le cadenze ritmiche e la luce delle .magmi non ti avvertissero che contengono una splendidissima poesia.
Ma più che alle scarse reliquie del passato noi dobbiainc m questo secolo guardare ai presagi dell'avvenire, cioè alle cause del prossimo mutarsi 3 decadere della lingua latina, dopoché ella fu giunta alla massima perfezione; e qu tre fatti meritano sopra tutto d'essere considerati:
1.° La diffusione tanto «lei latino volgare per mezzo delle armi, delle colonie, de commerci, quanto del latino letterario per mezzo delle leggi, de' magistrati, dei libri, delle scuole; i quali, dopo di avere occupata tutta quanta la penisola, già passavano l'Alpi ed il mare, e si trapiantavano nelle fì-allie, nell'Africa e nella Spagna.
2.° L'alterazione della urbanità nella stessa Roma, in grazia sia del tempo, sia della continua invasione di genti e voci forestiere, massime dalle G-al e.
3.° La varietà grandissima di lingua e di stile che si osserva negli scrittori.
Il primo fatto fu, come già si disse, cagione che si formassero nelle varie Provincie dell' 'xnpero romano que' particolari idiomi (4), dai quali dopo un lungo corso
(1) Vedi Bramnach, Neugest der lat. orthogr. pag 22 e seguito.
(2) Riferisco a sola cagione d'esempio ibus, escit, potesse, fuat, cupiret, indugredi, ìndu-peaita, e l'uso continuo di saecla per dire genti, razze, e quel sì frequente clnere, che dopo li esce quasi affatto dall'uso. Del resto per la lingua come per la metrica di Lucrezio sono da ve dorè ì commenti di Lachmann: per la sintassi, la recente operetta di Holtze: Sintaxis Lucretiame Lineamenta, Lipsiae 1868. Per la metrica di Varrone è da vedere, olire Luciano Mueller De re metrica poetarmi latinorum, anche l'opera di Aless. Riese intitolata M. Terenti Varronis Saturarum Meuippearum Tìeliquiae, Lipsiae, Teubner, 186B. In essa l'egregio autore con buoni argomenti dimostra che Varrone tiene, rispetto alla prosodia ed al metro, il posto intermedio tra la vetusta poesia d'Ennio, di Plauto e di Pacuvio e quella che dopo di lui fiorì nel secolo di Augusto. E press'a poco alla stessa conclusione s'arriva studiando coli'ottimo commentario di Lachmann il poema di Lucrezio, nel quale insieme con molti vestigi dell' antica rozzezza, con molte più licenze che non abbiano Virgilio ed Ovidio, troviamo pure de'versi di tale squisita fattura che questi due grandi mm poterono superare.
(3) Vedi Luciano Mueller, De re metrica poet, lat, pag. 91,,
(b) Vedi per es a pag 127-28