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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo iv. — terza età1.
   205
   resse intorno all' ufficio della poesia e dettasse i canoni della critica, sia che finalmente, vate egli stesso, cavasse dalla lira ora le voci soai che mollemente t lusingano il cuore, ora que' severi accordi che scuotono 1' animo e lo sollevano alle grandi idee, ai generosi sentimenti, Orazio pose sempre la mira al bene della sua patria, ed a procurare all'uman genere quella migliore beatitudine clie quaggiu si possa raggiungere. Imitò i Greci, ne volto in latrio i metri, i concetii, le iniagini e fin le parole - ma fu sempre il poeta più schiettamente romano. E la lirica di Orazio piace anche per questo agli uomini di molta età e spe-rienza più che ai giovinetti, perchè porta i tratti caratteristici d'un gran popolo: e ti fa udir la voce di un secolo già vecchio al dolore, e più disposto a sorridere mestamente che non a sperare rimedio dei molti suoi mali.
   Nella seconda metà del regno d'Augusto fiorirono i più illustri di que'poeti elegiaci, che Ovidio enumerò nella decima lettera del secondo libro de'Tristi (I): e sono Ovidio stesso, Properzio e Tibullo. E seguiron tutti l'esempio di Cornelio Gallo,, che primo si dice recasse in Roma dalla Grecia questo genere di poesia. La quai cosa non è esattamente vera, se si pensi che saggi di elegia furono dati anche Begli ultimi anni della republica dà Catullo.
   Insieme coi poemi didattici, coi racconti mitologici e cogli idillii presero i Romani anche l'elegia dai poeti alessandri' ii. Poesia patetica, mossa quasi sempre da un solo sentimento, che in cento guise si svolge e si ripete in quel comodo avvi-cendarc di esametr e di pentametri; poe;. a usa da gran tempo alle sottili descrizioni alle clausule concettose, ai motti arguti, non ai grandi pensieri od alle alte ispirazioni E soltanto per aver guardato agL elegiaci del suo secolo Orazio insegnò, che in versi disparimente cougiunt parlasse dapprima il lamento, poi la voce del desiderio soddisfatto.
   Versibus impariter junctis querimonia primum, Post etiam inclusa est noti scnientia compos (2).
   Ma non sapeva poi chi degli umili elegi fosse l'inventore, nè tra i discordi pareri de1 grammatici osava proferir sentenza.
   Quis tamen eociguos elegos cmiscrit aueior Grammatici certant, et adirne sub judice hs est.
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   Or bene il vero è, come si raccoglie dalla storia della letteratura greca, che gli eleyi non esprimevano nell'origine un genere determinato di poesia, ma solo una spec ile forma di versi. Come dice benissimo E. Burnouf (3). ogni idea, ogni sentimento, un caso qualsiasi, lieto o triste, della vita poteva essere trattato dai poeta elegiaco: e difatt v'ebbero in greco elegie gnomiche e didattiche da potersi assomigliare ai poemi d'Esiodo, v'ebbero de'veri e caldissimi inni di guerra, e minimo fu il numero di quelle che esprimessero amorose passioni o sentimenti tristi e dolorosi. E veramente quando l'elegia nacque non era per la Grecia il tempo delle fiacche malinconie o dei moli: rimpianti, chè ognuno adoperava 1' ingegno in generose azioni a vantaggio della patria, non lo struggeva in inutili querimonie (4). Onde è che se ne togliamo Mimnermo, le elegie di que' primi poeti sono o guerresche come
   (1,1 Vedi sopra a pag. 85 la nota,
   (2) Art. poet, 7o
   (3) Hiftove de la litérature grecque, T. I, pag. 14(5, ecc.
   (4) Quanto ali1 origine del nome, cui gli etimologi son soliti spiegare con 's'è liyz, quasi Te-legia volesse prop; io dire canto lamentevole, E. Burnouf s'accontenta di avvertire «que le mot Hsyo? n'a pas sa tacine dans la langue grecque, punque les lois philolngiques ne permettent pas de le deriver da ver he liyw ».