capitolo iv. — terza età1.
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Quicquid in His igitur vitti rude Carmen liabcbit, Emendaturus, sì Ucuisset, eram. (1)
Pertanto se consideriamo le Metamorfosi di Ovidio rispetto ai tempi, noi vediamo venir meno ad esse quel carattere di civile utilità che hanno le poesie fin qui nominate di Orazio e di Virgilio; il cuore del cittadino vi batte assai meno vivamente che nelle Georgiche e nelle Satire, e l'idea di Roma, la quale nell'Eni ide è si grande e vi domina tutto il poema, qui si perde in un quadro che abbraccia la storia dell' uman genere. Che se le consideriamo invece come opera d'arte, ci è facile riconoscere in esse il più splendido ed il più leggiadro poema mitologico dell' antichità latina. E la Grecia non ne ha uno che l'uguagli. Perocché quantunque la mitologia fosse allora, come già si è detto, un'ombra vana, nè in un'età tanto scettica dovesse parer possibile di eccitare la curiosità del publico colla descrizione di prodigi a cui nessuno dava fede, pure Ovidio con quel sì fertile ingegno e quell'inesauribile vena, di che natura 1' ebbe fornito, potè, come il nostro Ariosto, far parer vere le fole e dilettarci a sua posta od affiggerci col racconto di avventure incredibili.
Egli ottenne di rianimare la vecchia mitologia e di renderla attraente, perchè seppe in certa guisa farne una storia della natura, ed una parlante dipintura dei casi più belli e pietosi della vita umana. Pi qui le sì splendide descrizioni delie cose e dei fenomeni naturali, di qui le trasformazioni narrate grado grado con tale verità che al lettore pare di vederle, e commosso assiste ogni volta al compimento dello strano miracolo; di qui finalmente i racconti e le piacevoli novellette dove gli affetti umani d' ogni maniera son dipinti così bene, dandosi ad ogni virtù il suo premio, ad ogn. colpa il suo castigo.
La mitologia par quasi che ripigli un stante per man del poeta l'antico ufficio di simboleggiare la natura, e di erudire con opportuni esempii gli uomini intorno alle conseguenze delle buone e delle cattive azioni. Quindi nessun critico, per quanto severo, vorrà sostenere che Ovidio non abbia colle Metamorfosi soddisfatto alla prima condizione d'ogni buona poesia, eli'è quella di istruire dilettando. Perocché i lettori d'allora erano come quelli d'oggidì divisi m due campi: de'vecchi che biasimavano i libri giocosi ma inutili, e de'giovani che sprezzavano i poemi austeri; onde non poteva piacere ad entrambi chi non mescesse l'utile col dolce.
Centuriae seniori',m agitant eccpertia frugis,
Celsi praetereunt austera poemata Rhamncs: .
Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci,
Lectorem deleciando, pariterque monendo. (2)
Ed Ovidio poteva dir con sicurezza, che quantunque egh preponesse molti poeti a se, pure non era dalla gente tenuto minor di loro, e i suoi versi si leggevano in tutto il mondo.
Nam tulerint magnos quum saecula nostra poetas, Non fuit ingenio fama maligna meo.
Quumque ego praeponam miiltos mihi, non minor illis Die or, et in tato plurimus orbe legor (2).
Colle Metamorfosi egli chiude senz'altro la sene dementativi fatti per dare alle lettere latine un poema mitologico, come Virgilio aveva mostrato coli' Eneide in qual modo si potesse, conciliando la mitologia colla storia, comporre ancora dopo Omero un poema eroico, Distanti nei pregi come nei difetti, lavorando in tempi e con
(1) Trist. V. lì.
(2) Art. poet Wi.
(3) Trist IV, 10 in ùne.
Tamagni. Letteratura Romina. g.*,