capitolo iv. — terza età1.
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suoi amici, ne potuto dimostrare che Roma e casa Giulia discendevano da uno stipite comune, ed Augusto era per diritto di nascita e per volere de'fati padre e custode legittimo del suo popolo. Quindi tra i racconti storici ed i mitologici, tra i poemi omerici e le dotte composizioni degli alessandrini V Eneide tieue giustamente il posto intermedio; la storiavi è preconizzata, non narrata, egli eroi, come le imprese della più remota antichità, prendono colore ed importanza dal \incolo clie li unisce alle persone ed ai fatti più gloriosi delle età recenti. Le peripezie più gravi e perigliose della storia romana vi son predette: quasi ogn gente un poco illustre vi ha i suoi antenati, ogni credenza ed ogni rito le sue cagioni, ogni azione memorabile il suo esempio; eie virtù civili e religiose, che fondarono la potenza del gran popolo, vi sono ad ogni passo professate ed insegnato (1).
Così Virgilio s'è studiato di dare ad un'opera d'arte e di meditazione il carattere e l'ufficio che è proprio, come fin qui si disse, delle epopee primitive; senza però dimenticare, che noi poteva, quell' altro intento più modesto, ma 11011 meno utile della moderna poesia, che è di muovere i dolci all'etti e farci piangere sui dolor; dei nostri simili. Qui Virgilio, appunto perchè più giovane di otto secoli, è superiore ad Omero; e se 1 suoi eroi non hanno sempre la grandezza epica, se non destano come i forti dell'Iliade la nostra maraviglia, noi di questi diletti ci paghiamo largamente colla pietà verso i vinti, qualunque siano poi le cagior delle loro non meritate sventure. Didone e Turno ci compensano di Enea; e dimenticando l'eroe non sempre degno d'essere ammirato, compiangiamo la donna che muore per non sopportare il dolore e la vergogna d'uu amore tradito, ed il guerriero che vinto chiede indarno con oneste parole il dono della vita al pio vincitore. Il sublime dell'epopea cede il campo al patetico della tragedia, i caratteri si fanno più vicini ai nostri, più umani, e noi siamo tanto più facilmente commossi dai loro mali, perchè ricordiamo d'averli sofferti. Ognuna delle leggitrici può dir con Didone:
Non ignara mali miseris succurrere disco.
Ed è questa forse la più durevole impressione, la più cara memoria che portiamo con noi della epopea virgiliana; quella per cui essa farà in ogni tempo la segreta delizia degli animi affettuosi e gentili, di tutti coloro che son capaci di intendere e di rispettare un dolor sincero, un grande e nobile infortunio.
Piendendo a trattare un tema più vasto e vario, più conforme alia sterminata sua fantasia, com'era quello delle Trasformazioni, Ovidio giungeva per più lunga strada alla meta comune di tutti gli epici d'allora, ch'era quella di celebrare Cesare ed Augusto. Egli comincia dall'origine del mondo, e ci conduce per un lungo ordine di prodigiose trasformazioni a veder l'anima di Cesare collocata da Venere fra gli astri celesti. Stella folgoreggiante che dal cielo, dove vola più alto della luna, guarda le belle opere d'Ottavio, il suo figliuolo, e gode d'essere vinta da lui.
.......Luna volai altius illa,
Flaminiferumque irahens spatloso limite crine-m Stella micat, nailquc videns bene facto fatetur Esse suis inajora, et vinci gaudet ab ilio (2).
(1) Valga per lutti il memorabile passo del libro VI, ctie già sopra fu da noi riferito (pag. 2):
Tu regere imperio populos Romane memento
Parcere subjeetis et debellare superbos.
Le loui della costanza vi son continue, come vi è salda la fede che il voler de1 fati s'adempirà, e liete sort' arrideianno a chi avrà sapulo perseverare.
Durate et rebus voamet serbate secundis.
(2) Melauioi iosi, XIV, 8'8-iJl,