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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo iv. — terza età1.
   195
   Cotale cambiamento aveva l'atto la dottrina di Epicuro passando da Lucrezio ad Orazio, dai tempi ancora procellosi delle guerre civili al bello e riposato regno di Augusto. Eran due diverse applicazioni d'un medesimo sistema: e come Lucrezio ritraeva in sè i dolori e le lotte dell' ultima generazione republicana, che vedeva la libertà perire per mano di quelli stessi clie la dovevan difendere, Orazio esprimeva la quota rassegnazione d'una geute deliberata di godersi giocondamente i beni della pace, dappoiché altri 11011 se ne potevano desiderare.
   Se per i sermoni morali d' Orazio può parere che la poesia didattica di questo secolo si connetta lontanamente coi precetti di Appio Claudio e d' Ennio, e s'imparenti eziandio coi prischi poemi gnostici della Grecia, per le epistole letterarie ad Augusto, a Floro ed ai Piscili essa compie certamente quella lunga serie di poemetti, che dai didascalici d'Azzio giungeva lino agii epigrammi di G. Cesare e di Pomponio Attico (1). Perocché ci venne già veduto come la critica sorgesse presto in Roma, e di conserva colla erudizione e colla grammatica seguitasse passo passo i progressi dell'arte e della letteratura (2). Ciò era conforme tanto all'indole curiosa e son per dire censoria de Romani, quanto al singoiar modo con cui la lingua istessa e la letteratura si vennero tra di loro formando. Ma giova anche dir subito che se, nel dettare 1 precetti del vivere retto e costumato, egli si lasciò indietro di gran tratto tutti i poeti moralisti di Roma e della Grecia, quantunque non negasse d'aver fatto suo prò delle carte socratiche, ed a somiglianza dell'ape industriosa andasse gustando i più bei fiori dell' antica filosofia, quando prese a discorrere di poesia pose addirittura le piante in terreno suo, e, gettando i fondamenti della critica insegnò come dell'arte dei vati si possa e si debba con sapienza temperata di felici arguzie conoscere e giudicare. Nè gli si fa torto dicendo che l'alto ingegno e la molta sua dottrina furono maravigliosamente aiutati dallo circostanze! per avergli la letteratura de' suoi tempi olferta larga materia di osservazioni e di confronti, e la discordia delle scuole dato modo e quasi diritto di seder giudice fra i contendenti. Perocché se ci fu secolo in cui per Roma fosse possibile ed utile una critica ed una teorica della poesia, quell'uno fu li secolo d'Augusto ; quando l'arte toccata la cima già minacciava di scendere, ed erano da più parti visibili i segni della decadenza. Era dunque tempo che qualcuno raccogliesse da ciò che s'era fatto i migliori e più chiari insegnamenti, che 1 confortasse colle leggi stesse della natura e collo prove dell'esperienza, e mostrasse a tutti d vicino pericolo di perdere, seguitando altre vie, l'arte e sé medesimi.
   Nè ad altri s'apparteneva di farlo meglio che a lui, il quale con Vario e con Virgilio aveva creato la nuova poesia latina, e poteva coli esempio proprio e degli amici dimostrare quanto i suoi ammaestramenti fossero veri e giusti i suoi giudizii. Portato dall'indole propria e dalla puerizia educato ad osservare e distinguere attentamente ciò che fosse buono, ciò che cattivo così negli uomini come nelle cose, dopo un lungo studio di sè e I' altrui egli pose in disparte i suoi vecchi trastulli, e dicendosi oramai inetto a comporre prese a far l'ufficio della cote, che rende acuto il ferro non potendo essa tagliare.
   .......Fungar vice colis, acutum
   Recidere quae ferrum valet, exsors ipsa secandi ; Munus et offieium nil scribens ipso doeebo, Unde parentur opes, quid alat formetque poetarn ; Quid dcceat, quid non; quo virtus, quo ferat error (3).
   E la cote volle essere dura 0 mordente, tanti erano i pregiudizii da correggere, tanti i difetti da emendare, e tanto dalla perfezione deli' arte gli parevano lontane le ubbie e le sciocche presunzioni di parecchi fra i suoi contemporanei. Difatti egli
   (1) Vedi sopra a pag. ICS.
   (5ì) Vedi sopra a pagina 4 ed a pagina 75.
   (5) Art. poet. 304., ecc.