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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   194 libro i'rimo.
   componimenti didattici clie, dopo i progressi della filosofia e delle scienze, si potesse ancora utilmente e piacevolmente scrivere in versi. Se vero è clie le conversazioni intorno alla morale ed alla letteratura siano state in ogni tempo soggetto aggra-devolissimo di poesia, quando si trovò chi sapesse opportunamente mescolare l'utile col dolce, od istruire dilettando.
   Delle dottrine filosofiche, che più correvano in Roma a questi tempi, fu già parlato nell'antecedente capitolo, come, discorrendo poc' anzi delle satire, abbiamo visto quali massime paressero ad Orazio più confacenti all' onestà insieme ed alla felicità della vita. Solo, per chi voglia conoscere che lungo cammino avessero fatto le opinioni ed i sentimenti da Cicerone ad Augusto, basterà osservare con che diversità di animo i contemporanei di quello e di questo seguitassero i precetti d'una medesima filosofìa, basterà porre a fronte gli epicurei della republica con quelli dell'impero, e coi sermoni d'Orazio paragonare il poema Della Natura. Qui 1' epicureismo nasce, come s' è visto, dal dolore, e dopo un animoso conflitto colle credenze e colle passioni, che all'uomo parvero finora più naturali e necessarie, finisce in un convincimento che tocca assai dappresso ad un' amara desolazione ; là invece scaturisce da un calcolo, da una tranquilla e fredda valutazione dei beni e dei mali della vita, e, nonché essere un rigido sistema di dottrine e di precetti, segue a seconda or questa or quella setta filosofica, simile al navigante che si lascia cullare dai fiotti, purché lo traggano quandochessia al porto desiderato.
   Nullìus addictus jurare in verba magistri, Quo me cumque rapii tempestas, deferor hospes. Nunc agilis fio et mersor civilibus undis, Virtutis verae justus rigidusque satelles: Nunc in Aristippi furtim praecepta rclabor Et mihi rcs, non me rebus subjungere conor (1).
   Quindi nessuna costanza d' opinioni intorno all' uficio ed alla azione degli Dei nel mondo e sugli uomini : oggi incredulo ride dei miracoli e di chi in loro pon fede, por confessare domani che esiste un Nume supremo, padre degli dei e degli uomini, maggiore di tutto e di tutti, e che il timore di Dio è il principio della giustizia ed il fondamento degli imperi ; quindi 1' amore e gli altri affetti non repressi e domi, ma solo regolati per guisa che il goderne non turbi la quiete dell' animo ; quindi finalmente il concetto ed il desiderio di una esistenza placida, serena, rallegrata sempre dalle gioie della amicizia, e talvolta inebriata anche dai fumi del vino e dall' altre voluttà dei sensi. Il saggio di Lucrezio è disceso dall' alto e sicuro suo tempio non per mescolarsi in terra con tutti gL uomini, non per avvoltolarsi nel loto di tutte le loro passioni, ma per vivere in buona compagnia coi migliori tra essi, amico di tutti, servo di nessuno ; e neanche soggetto agli dei', che pur mostrava di venerare e di temere, perchè alla perfine se da loro doveva chiedere vita e ricchezze , della tranquillità dell' animo era egL solo arbitro e padrone.
   .... Satìs est orare Iovem quae ponit et aufcrt: Dei vitam, clet opcs; aequum mi animum ipse parabo (2).
   Ed egli era anzi minor dell'unico Giove, egli solo ricco, libero, onorato, bello, re dei re insomma : e sopratutto sano, se non quando lo molestasse il catarro (3). Che gli stoici medesimi confessavano essere un ostacolo alla piena beatitudine.
   (ì) Episi. i. i. m
   (2) Episl. 1 18. fine.
   (3) Epist. 1. 2= fine.
   «Ad summam: sapiens uno minor est Jove, dives, JLilier, honoratus, pulcher, rex donique ri'gum, l'raecipue sanus, msi quuin pituita molesta est. »