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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo iv. — terza età1.
   189
   tentrato l'ozio, alla ruvidità del soldato l'eleganza del cortigiano, alla sete di conquista e di comando l'amor de' pacific studii, e ai tumulto delle cure cittadine si preferiva la quiete de' campi ; ora che ogni differenza di grado e di coudi.' me era sparga davanti alla maestà del piincipe, e che le ingenue do; della mente e dell'animo contavano assai più d'una lunga schiera di gloriosi antenati una mediocrità dignitosa s'offriva come il rifugio più sicuro ed onorato a tutt. coloro che volessero rimaner esenti tanto dalle brutture tli colpe ignominiose, quanto dai pencoli di virtù, lodevoli forse per sè stesse, ma in que' tempi certamente .nopportune.
   E i dubbj della Nuova Academia unendosi nella lucida niente c Orazio in bella armonia coi placidi dettami della scuola d'Epicuro, egli n'era indotto a considerare i viz non sempre come mali insanabili, ma più spesso come traviamenti dal retto sentiero, che faccian l'uomo trastullo e vittima della propria stoltezza. Onde non flagellava, ma derideva quanti error e debolezze umane ripetessero l'origine dalla vanità, dalla insipienza, dall'ignoranza, e usando contro n essi non dell'iato aceto, ma del sa,le attico, ne aspergeva, non che gli altii, sè medesimo, se gli veniva talento di svelare al pubblico le sue magagne Ed essendo stato (com'egli narra) fin da fanciullo avvezzato da suo padre a notare puntualmente le colpe ed i viz altrui, per astenersene (1) ; questa prudente abitudine congiunta con un felicissimo spirito d osservazione, con una penetrazione sottilissima delle più riposte pieghe dell'animo umano, e con una vena inesauribile di facezie e di motteggi fece si che egli diveni ;se il più grande poeta satirico non della romana soltanto, ma di tutte le letterature; mentre il buon gusto e la retta misura che portava i ogni cosagli impedirono di trasgredire i precetti di quella Ragione, la quale vuole che la pena sia sempre giustamente comm surata al delitto.
   Ponderibus modutisque suis Ratio utìtur, ac res Ut quaeque est ita suppliciis delieta coercet (2).
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   E seonene non si possa forse negare che gli od cu parte o le personali amicizie l'abbiano talvolta reso ingiusto contro uon .n rispettabili, devesi tuttavia dire ad onor suo, che quando sferzò spietatamente quelle malvagità e que'delitti, eoe turbano la pace ed il benessere della società, colpi sempre nel segno. Onde le sue satire ebbero subito un grande successo e i suoi frizzi correvano di bocca in bocca per la città, sicché egli potesse dir giustamente
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   Qui me commorit — melius non tangere, clamo, — Flebit et insignis tota cantal)itur urbe (3).
   Cosi Orazio compiva la prima parte del suo uflzio di poeta civile, e correggendo coll'arte e col lavoro i difetti del suo geniale ma limaccioso predecessore, recava a perfezione il più antico genere di poesia, ed il solo che senza mescolanza di stranie elementi facesse in ogni tempo fedele ritratto dei costumi del popolo romano. E fu il poeta che tanto ne' suoi vizii eleganti, quanto nelle sue prudenti virtù meglio rappresentasse il secolo di Augusto: quantunque! vizii suoi fossero di quelli, a'quali, come d io egli stesso, si potesse facilmente perdonare, perchè non facevano male a nessuno.
   (1) Orat, Sat. 1. li, 1ÒS. « Insuevit pater optinms hoc me, Ut fugereni exemplis vitioruirì quaeqiH? notando. »
   (-2) Sat, I. 5. 77. ecc.
   (3) Sat. II. 1. tfB.