capitolo IV. — terza età1. 187
Evaluere sonum, referunt quem nostra theatra ? Garganum mugire putes nemus aut mare Tuscuni, Tanto cum strepita ludi spectantur et artes Div/'ttacque peregrino,e, quibus oblitus actor Cum stetit in scena, concurrit dextera taevae. Dixit adirne aliquid ? Nil sane. Quid placet ergo ? Lana Tarentlno violas imitata veneno (1).
Ridotti a parlare ai sordi non è maraviglia se gli scrittori di comedie e di tragedie diventassero ogni dì più rari, e se a malgrado del favore di Augusto, a malgrado dei premi proposti ai vincitori, i mimi stessi cedessero all'ultimo il posto alla muta pantomima ed il drama finisse onninamente nel ballo. A Esopo ed a Roscio nelle grazie del popolo e dei principi sono succeduti Pilade e Batillo ; e invano Pollione, Vario, Ovidio ed altri spendono 1' ingegno e 1' arte a comporre tragedie, elle saranno lodate dai critici, levate a cielo dagli amici, ma nè intese, nè stimate dalla moltitudine. E come la poesia dramatica vuol essere ascoltata non letta, e, simile in questo all'eloquenza, vive degli applusi del publico, cui a sua posta deve commuovere al rìso od al pianto, così in ogni tempo e luogo dove le venne meno il teatro fu veduta morire di inevitabile languore.
Ed a Roma ne prese il posto la satira (2), alla quale non poteva mancare la materia in un secolo che aveva veduto tanti rivolgimenti. Difatti mentre molti egregi uomin; erano periti nelle proscrizioni o nelle battaglie ed altri languivano in esiglio, mentre molti ricchi erano venuti in basso stato, dal basso altri erano sorti improvvisamente coll'ajuto della fortuna, occupando le sostanze ed il grado de'caduti. La divisione delle terre fra i veterani aveva ridotto alla miseria più di un onesto ed agiato campagnolo; onde tu non vedevi che povertà ed abjezione da una parte, dall'altra lusso e prodigalità senza freno. Ogni idea di buon costume pareva perduta affatto nelle classi più alte della società : rarissima la fedeltà conjugale, unica molla di tutti, grandi e piccoli, l'amor del guadagno e la maledetta farne dell'oro. Tutti i vizii, le pazzie, le sfrenatezze che una rivoluzione suol produrre erano allora in Roma, la quale offriva all'occhio dell' osservatore una mescolanza di contrasti singolarissimi. Qua tu vedevi lo schiavo di pochi anni innanzi fatto improvvisamente tribuno de' soldati o senatore correre al trotto coi focosi leardi la via Appia, od avvolto in ampia toga passeggiare alteramente per la via sacra ; là un cantante seguito da uno stormo di servi, che in pochi giorni guadagnava e dissipava tesori. Quinci un libellista che assale tutti coloro da cui non possa temere vendetta, quindi uno stoico dal viso lungo, allampanato, che dopo sciupato in capricci il patrimonio veste 11 mantello filosofico e predica severe massime dì morale. Poi di nuovo un epicureo che insegna gastronomia quasi fosse una scienza : finalmente un esercito di cavalieri d'industria, tra cui i cacciatori di eredità erano forse i meno tristi. Così fatti erano gli uomini: e nell'altro sesso ti destava non so dire se più sdegno o ribrezzo una sozza turba di cantoniere, di maliarde e di avvelenatrici (3).
E l'aspetto stesso d'una città sì vasta e popolosa, dove ad ogni ora del giorno si urtava e si mesceva una folla tanto affacendata e diversa, dove se ti prendesse vaghezza di passeggiar solo co' tuoi pensieri non trovavi una via, non una piazza che fosse sgombra, e ad ogni piè sospinto intoppavi ora in un intrapronditore che ansante conduce un lungo treno di muli e di facchini, ora in una fila, di gr ossi carri ebe lottano per farsi strada con un funerale, e non rade volte in una. rabbiosa cagna
(1) Epist. II. i. 194 e seg.
(2) Vedi Noòl des Vergers. Vie d'Borace, pag. b2, neìla elegantissima edizione di Didot. Parigi 1858.
(3) Vedi i miei Studi Oraziani nel Politecnico, 1860.