Stai consultando: 'Storia della Letteratura Romana ', Cesare Tamagni

   

Pagina (201/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (201/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   capitolo iv. — terza eta'.
   185
   perchè oltre il favore de' tempi nuovi e del principe aveano con sè la prevalenza dell'ingegno e dell'arte, e perchè, mentre gii avversarii si eran fermati per retrocedere, essi muovevano arditamente innanzi, nè accennavano di voler restare se prima non avessero raggiunta la perfezione in ogni genere di componimenti.
   Tentar nuove maniere di poesia, affinare lo stile, rinvigorire ed estendere la lingua in guisa ch'ella potesse esprimere ogni sorta d'idee, di sentimenti, d'imagini colla stessa splendida evidenza dei poeti greci, formar il verso facile, rotondo, armonioso^ questo volevano Orazio, Virgilio, Ovidio, Properzio, Tibullo in un cogli amici, coi discepoli e con tutti coloro che maravigliati ne ascoltavano o ne leggevano i carmi. E insieme volevano che al passato non si pensasse, se non quant'era d'uopo a rendere il presente migliore e più sicuro. Essi erano in sostanza discesi a patti col principato: gli altri nudrivano ancora nell'animo un segreto desiderio della libertà, e non potendo in altro modo, facevano opposizione con levare a cielo l'antica letteratura e vilipendere la moderna.
   Da queste letture, e dalle gare che le accompagnavano, derivò pure un altro guaio, cioè la moltitudine degli scrittori col solito seguito delle vanità, delle gelosie, degli odii e di tutte le altre miserie che son proprie dell'irritabile geuia de'vati. E per quanto Orazio gridasse che non gli dei, non gli uomini, non le colonne de' libraj permettevano ai poeti di essere mediocri, pure il numero ne cresceva ogni giorno, e toccava ai buoni difendersi prima dalla noja di udirne i versi , — chè sempre ti erano d'attorno con qualche lor nuova composizione, — poi dai morsi dell'invidia, o dagli strali avvelenati delia calunnia. E se Orazio, il quale più di tutti combattè, come vedremo, per l'onore della nuova letteratura, s' accontenta assai volte di rispondere col riso e colla celia ai difensori dell'antichità (1), contro il servo gregge degli imitatori, contro i Mevii e gli altri cani ringhiosi s'accende di vero sdegno e ferisce senza rispetto (2).
   Ma queste eran ombre che per nulla oscuravano la fama di que' crocchii e di quelle scuole donde uscì tanto numero di alustri poeti. I quali facendo tesoro della esperienza dei loro predecessori e, senza trascurare i Latini, attentamente meditando le grandi opere de'Greci, e sopratutto non cessando di limare ogni parte dei loro scritti, condussero mano mano la lingua e la poesia latina ad un grado di finitezza che il maggiore non ebDe mai. Nel che se molto li giovò la conoscenza dei poeti alessandrini, ai quali erano più vicini d' età e di gusto, non è però vero che tutto prendessero da essi soli, nè che non abbian saputo profondamente intendere e felicemente imitare i più antichi esemplari (3). Ed al postutto se dagli alessandrini han preso ciò che questi aveano faticosamente acquistato dai loro maestri, voglio dire, abbondanza di erudizione, arte molta nell'uso della lingua, novità di
   (1) Come fa, per esempio, assai graziosamente nella prima lettera del secondo libro ad Augusto (90-108).
   (2) Veggansi ad esempio nella seconda lettera del libro secondo i versi 90-108, tutta la 19 del libro primo e il decimo degli epodi. E questa vii turba di cattivi poeti dava noja anello ad Augusto il quale, per ciò appunto clic era favorevole ai beiti ingegni , voleva essere lodato sul serio e sola-
   mente da loro. «Componi aliqnid, de ss nisi et serio et a praestanlissimis, offendehalur» Svet. 89,
   in fine.
   (5) Circa l'influenza degli alessandrini sulla poesia romana di questo secolo, oltre quello che per noi fu detto a pag. 164, è ua vedere ancora Bernhardy pag. 257 (n. 191), il quale la riduce , panni, alle sue vere proporzioni. Essi furono i maestri dei poeti romani, e li condussero per mano a conoscere l'antica letteratura greca, ad stenderne lo spinto. Certo è quindi clic i discepoli la videro cogli occhi de'maestri, e lontanissimi come erano dagli uomini e dalle cose che dopo Omero avsano ispirato i grandi poeti della Grecia, più che quali modelli di alte, e sapienti inspirazioni li considerava'io come an tesoro dove si potessero attingere largamente concetti, imagini, maniere ed ogni sorta di begli ed appropriati ornamenti de! dire. Ma questa è sorte comune ed inevitabile de'le letterature imitative, che esse non possano risalire ai piò remoti e più sinceri esemplari se non per mezzo de più vicini : à legge storica che s'impone ai più grandi ingegni.
   Tamagni. Letta atvra Remano,, 21