capitolo iv. — terza età1.
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vere corporazioni con proprie norme e riti, e quelle private adunanze, dove chi era della compagnia o desiderasse di entrarvi, andava a leggere i proprii versi o ad ascoltare quelli degli amici. In questi circo! i conveniva il flore de' letterati e dei poeti, che si comunicavano a vicenda i loro pensieri, i disegni delle opere a cui avean posto o volevano por mano, e discutevano i sommi principii e le regole dell' arte. Erano geniali convegni d'amici, ed insieme palestre aperte ai futuri poeti, scuole e tribunali onde uscivano gli ammaestramenti e le sentenze che tutti dovevano osservare. Qualcosa come le innumerevoli nostre accademie degli scorsi secoli : cogli stessi intenti, ed alla perfine coi medesimi risultati. Che furono di segregare sempre piìi l'arte dal popolo, e di farne come la vocazione di pochi eletti, i quali non possano parlare senza chieder prima che il volgo s'allontani
R. G. I. 882. Teu!Tol R. L. pag. 109 e 131), certo è clic in questo secolo essi seguirono f esempio dato da Asinio Pollione (vedi sopra la nota (9) a pag. 170) agli oratori; Orazio poi (Sat. 1. 10. 81) ed Ovidio (Trist. IV. 10) ci fanno conoscere, qccgli il più vecchio, questi il più giovane gruppo dei poeti d'allora, buoni amici e soli giudici competenti dei loro colleglli.
Plotius et Vari us, Maecenas Virgiliusque, Valgius et probet hacc Octavius optimus, atque Fuscus, et haec utinam Viscorum laudet ulerque. Ambinone relegata le dicere possimi, Pollio, te, Messala, tuo cum fratre, simulque Vos. Bibule et Servi, simili his le, candide Fumi, Complures alios, doctos ego quos et aniicos Prudens praetereo; quibus haec, siili qualiacumque, Arridere velim, doliturus, si placeant spe Deterius nostra.
Degli altri non >i dava pensiero, fermo nella massima che il poeta, non curando i plausi della moltitudine, dovesse starsene contento a pochi lettori :
......ncque, te ut miretur turba, laborcs,
Contcntus paucis lectoribus.........
E Ovidio ripensando nella solitudine di Tomi i begli anni della giovinezza, con quella sua enfasi chiama adirittura Dei i poeti, verso i quali lo trascinava con impeto irresistibile la sua natura.
Temporis illius colui fovique poetas,
Quotque aderaut vatcs, rebar adesse deos. Saepe suas volucrcs legit mihi grandior aevo,
Quaequc necel serpeus, quae juvet herba Macer. Saepe suos solitus recitare Propertius ignes,
Jure sodalilio qui mihi junctus erat. Ponlicus hcroo, Bassus quoque clarus iambis,
Dui eia convictus membra fucre mei. Et tenuit nosfras numerosus Horatius aures,
Dum ferit Ausonia carmina eulta lyra. Virgilium vidi tantum. ncc avara Tibullo Tempus amicitiae fata dederc meae. Successor fuit hic tibi, Galle: Propertius fili:
Quartus ab his serie temporis ipse fui. Utque ego majores, sic me coluere minorcs; Notaque non tarde facta Thalia mea est.
Qui adunque si leggeva dagli uni e si criticava dagli altri : e del modo come la critica era fatta dai giudici severi e doveva dai giovani poeti essere accettata, Orazio (Art. P. 439) ci dà ancora un