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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   libro i'rimo.
   fazioni si dirigevano a de' morti (1). I tempi queti, l'ozio non interrotto del popolo, la continua tranquillità del Senato e la disciplina di un gran principe, avevano davvero pacificato, come ogni altra cosa, così anche l'eloquenza (2)
   Dei retori di questa età, che ne conta oltre il centinaio, i più rinculati furono M. l'orcio Latrone, Àrellio Fusco, il vecchio Seneca e Rutilio Lupo.
   Nè per i soli scritti di Augusto, d'Agrippa e d'Asinio Pollione avrebbe avuto sorte diversa la storia, se dalla nostra settentrionale Italia, da questa valle del Po, già fin d'allora madre fecondissima d'ingegni, non fosse venuto a Roma uno scrittore il quale per la bontà quasi ingenua dell' animo, per la serenità della mente e lo schietto patriotismo, scevro così d' ogni ira come d'ogni ambizione, meritò che il principe gli permettesse d'amare la libertà e di scrivere lui vivo la storia di Roma con sentimenti republicani. La storia potè dunque in questa età salvarsi dalla decadenza principalmente in grazia di l'ito Livio.
   Quantunque giova dire che per descriver fondo a tutta la storia di Roma il tempo era ben scelto, e lo scrittore poteva essere certo di far cosa grandemente opportuna e gratissMa a tutti i sinceri amici della patria, mostrando con quali virtù l'impero si fosse acquistato ed accresciuto, e per che modo fossero allora i cittadini venuti a tale estremo da non poter tollerare nè i vizii proprii, nè i rimedi. Opera eminentemente oratoria, lavoro d'arte, di fantasia, di sentimento più che di critica, la storia doveva allora, a parere de' più, narrare le passate cose ad ammaestramento de' presenti, lasciando a tutti degli illustri esempi di ciò che per utile proprio e della republica dovessero imitare o fuggire. « Hoc illud est praecipue in eognitione rerum salubre ae frugiferum omnis te exempli documenta in illustri posila monumento intueri : inde Ubi tuaeque reipublieae quod imitere eapias, inde foedum incapiti, foedum exitu, quod vites» (3). E Livio prendendo a descrivere con questo animo le vicende di Roma dalle prime origini ai suoi tempi, raccoglieva son per dire in una sola e vastissima opera, le meditazioni, i propositi, le fatiche di tutti i suoi antecessori, ai quali entrava innanzi per altezza d'ingegno, copia d'erudizione, facilità e splendore di eloquenza. Scrittore meno puro di Cesare e men profondo pensatore di Sallustio, come storico li vince entrambi nell' ampiezza dei soggetto, e in queir arte di farsi antico colle cose che racconta, cogli uomini e colle passioni che descrive, nella quale ebbe pochi uguali tra gli storici di tutte le nazioni, e nessuno che lo superasse. E non era poi picciola fortuna per un secolo tanto profondamente corrotto, che un sì chiaro intelletto si congiungesse con una onestà sì alta e severa, e che il patriottismo prendesse una volta le forme d' un amore schiettissimo del bene.
   Ciò basterebbe, senz' altro, a spiegare la grande rinomanza di cui Livio godette ancor vivo, e la benevola tolleranza di Augusto verso uno scrittore il quale diceva di sperare per sè questo premio dell'opera sua, che pensando alle cose antiche potesse togliersi un istante alla vista dei mali e delle vergogne del suo tempo (4).
   Con Tito Livio meritano d' essere ancora mentovati L. Arrunzio, che narrò le guerre puniche in istile sallustiano, Cremuzio Cordo che con sensi liberissimi descrisse la fine della republica e la fondazione dell' impero, e Pompeo Trogo autore di una storia universale in 44 libri, conservataci nel compendio di Giustino. Dopo di loro ' begli ingegni, che, al dire di Tacito, non erano mancati per raccontare i tempi di Augusto, atterriti dalla crescente adulazione si tacquero e la storia republicana finisce. Asinio Pollione aveva dovuto interrompere il suo racconto della guerra civile, Livio stesso sentiva la libertà venirgli meno a parlare de' suoi tempi, e da lui
   (1) Per i soggetti di queste declamazioni sono da vedere gii scruti di Seneca il retore, e le declamazioni attribuite a Quintiliano.
   (2) Tacit. Dial. de Or. cap. 38.
   (3) Praef. 10.
   (4) Livio fu anche oratore, autor di dialoghi filosofici, e scrisse precetti di eloquenza in forma di lettere a suo figlio,