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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo iv. — terza età1.
   177
   per non avere insieme colle cose mutate anche le forme, egli non potè dare alla republica tale stabile ordinamento, che la sottraesse dopo la morte di lui ai pencoli dell'anarchia o della tirannide, clii di questo gli volesse dar colpa non mostrerebbe d'aver inteso mai qual fosse allora la costituzione romana, quali le opinioni e le abitudini più inveterate e più care al popolo, su cui Augusto voleva regnare, quale l'animo stesso di lui nel fondare e conservare l'impero. Se gli è vero ciò che di lui narra Svetonio (1), che sul capezzale di morte domandasse agli astanti : ho io ben recitata la mia parte nella comedia della vita ? noi vorremmo vedere in queste parole più che la celia di un morente, un segno di quel profondo scetticismo che la instabilità delle cose aveva radicato da un pezzo negli animi de' maggiori uomini di quella età. Nessuno vorrà negare ad Augusto il proposito di fondare qualcosa che durasse oltre la sua tomba, perocché gli atti e gli scritti suoi luminosamente lo attestano, ma certo egli deve aver sentito che 1' opera di tutto rimutare era maggiore delle sue forze, e che al postutto bastava a lui d' aver fatto bene la sua parte. Ad altri il domani.
   Ed a recitar questa parto, la quale era già abbastanza grande anche senza pensar davvantaggio all'avvenire, egli fu nuovamente ajutato dalla fortuna, che lo circondò d'amici scelti tra quanti erano allora uomini provati per valore, sagacia, e fedeltà al partito. C. Mecenate, M. Yipsanio Agrippa, quegli la mente, questi il braccio del nuovo impero, Asinio Pollione, Yalerio Messala, Domizio Enobarbo, L. Sempronio Atratino, C. Mazio, Trebazio Testa, L. Yario, ed altri gli facevano dattorno onorata corona, invitando coli' esempio a seguirli ognuno che avesse bisogno di sicurezza o sete di ricchezza e d'onori. E fu in breve, corno già si disse, una gara a chi primo ottenesse i favori del principe, o di qualcuno de' suoi amici, massime di Mecenate che a ragione tenevasi di tutti il più potente e benefico; alcuni pochi come Cascellio, Labeone, Labìeno osarono resistere, ma non furon capiti o vennero addirittura derisi. Tanto pareva ai più necessaria e salutare la nuova dominazione, che in compenso della perduta uguaglianza dava almeno a tutti coloro che 1' accettavano promessa d'un vivere comodo e riposato.
   E in questa corte di illustri personaggi, in questi circoli dove intorno a Messala, a Mecenate, ad Augusto stesso conveniva il flore della cittadinanza, erano in ispecial modo ricercati ed accarezzati gli uomini di lettere ed i poeti. Letterati essi medesimi ed autori non ignorati di scritture di vario genere, Augusto (2), Messala, Agrippa, Pollione, ma più dì tutti Mecenate usavano ogni maniera di larghezze e di cortesie ai cultori delle Muse, dai quali non erano sempre pagati di sole lodi, ma retribuiti bene spesso con sensi di sincera gratitudine e di vera e profonda amicizia. Ed estendendo la loro munificenza a quanti fossero desiderosi d'imparare, fondarono in pochi anni tre publiclie biblioteche: Pollione quella dell' A trio della libertà, Augusto quella del Tempio d'Apolline sul Palatino, e l'altra detta de' Portici d' Ottavio. In esse venivansi riunendo i tesori di due letterature, di cui la più giovane poteva già rivaleggiare coli'antica, che le era stata maestra: e i ritratti dei più illustri scrittori vi figuravano a fianco delle loro opere. Presiedeva a ciascheduna un grammatico, per ricevere i libri, classificarli, e curarne la distribuzione ai lettori. E il principe che aveva saputo rispettare l'onesta libertà di Tito Livio, e cattivarsi la benevo-
   (1) Aug. 99.
   (2) Augusto fu oratore facile ed elegante, filosofo, storico e poeta : ed oggi ancora noi possiamo intendere che valente scrittore egli fosse dai frammenti del Monumento Andremo ; indice delle sue gesta, e luminosa testimonianza della sna grandezza. Davanti ad un uomo tanto sicuro di sè, e dell' ossequio de' suoi cittadini, da far scrivere in bronzo che aveva liberato il mare dai ladroni (mare pacavi a pr a>doni bus), volendo dire 1' ultima armata repuhlicana di S. Pompeo vinta da Agrippa nelle aque della Sicilia, e che con tanta fiducia si presenta al giudizio de'posteri, non è maraviglia se a poco a poco tulle le resistenze cedessero, e se i poeti non gli ricusassero quelle lodi, che egli jtesso sentiva di potersi con piena sicurtà attribuire.
   Tamagni. Letteratura Romana. 23