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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo iv. — terza età1. 193
   la vita senza pensieri, e che se nella natura accade qualche prodigio, non son essi che lo mandino quaggiù dalle superne regioni del cielo (1). E giova dir nuovamente che a loro egli lasciò una lingua poetica ben più ricca e potente di quella che avesse trovato, e mostrò coli' esempio come si potesse accrescerla di nuove dovizie. Fece egli nella poesia ciò che alcun tempo dopo Cicerone doveva fare nella prosa ; crearono insieme il linguaggio filosofico che ancora mancava ai Romani.
   A sì alto e commosso genere di poesia fa meraviglioso contrasto la musa gaja e procace di Catullo, ritraendoci la parte voluttuosa e spensierata di quella società che in Lucrezio par sì grave e meditabonda. E da essa udì Roma i primi canti lirici, non lodatori de' numi e degli eroi, ma interpreti degli affetti più molli e delicati; non fremiti di guerra od inni di trionfo, ma rimembranze e sospiri di voluttà fiacche, e talfiata vergognose.
   Del che le cagioni son facili ad intendere, chi ricordi quello che disopra abbiamo detto intorno all'indole ed alle origini deila letteratura romana. Difatti i Romani non ebbero ne'secoli più gloriosi deila loro storia un solo poeta lirico , come non ebbero od un cantore epico, od un poeta dramatico veramente nazionale , perchè in tutto quel tempo furono dediti più all' opere della mano che della fantasia, più a compire grandi e nobili imprese, che non a celebrare quelle di altrui. Capaci d: lirico entusiasmo essi non erano, perchè troppo pratici e prudenti non concedevano all' animo di commuoversi oltre quella misura che era loro segnata dai doveri di cittadini e di soldati : e rendendo grazie ai Numi con formole solenni ed immutabili, s'accontentavano dì conservare la memoria de'loro grandi scrivendone con pochi e concisi versi il nome e le virtù sulla lapide de'sepolcri. Quindi l'espressione anche dei sentimenti più vivi e profondi, contenuta com'era in loro e corretta dalla ragion civile, dal rito e dalla disciplina, non poteva di per sè conseguire quell'alto grado di idealità e di purezza, in cui la parola si fa canto, e la poesia par quasi confondersi colla musica. Arroge l'indole positiva della gente, che in ogni cosa mirava all' utile o per lo meno ad un fine immediato e preciso : fosse di ammaestrare o di dilettare, di dar sfogo alla gioja, al dolore, all'ira o ad altro qualsiasi più subitaneo affetto; e intenderemo facilmente perchè anche dopo che si furon messi ad imitare i Greci, la più parte delle loro liriche siano state canti d'occasione, e perchè 1' ode, la quale è la forma più elevata del genere, sia stata meno coltivata delle altre, nè recata pur d' un passo più in là del punto a cui i Greci l'aveano condotta.
   Nè occorre poi ricordare la condizione della lingua, la quale in questo, più che in qualsiasi altro genere di poesia, vuol essere splendida, armoniosa e pieghevole cosi ai voli più arditi del pensiero come alle più sottili sfumature del sentimento. Ed il latino pur sul principiare dell'ottavo secolo era ancora lontano un tratto da tanta perfezione. Poi bisognava piegarlo a comportare la varietà e rigidità dei metri greci, perchè il vecchio saturnio era oramai fuori d'uso, e troppo rozzo ed uniforme per rendere le molteplici sembianze della poesia lirica. Senza uno studio accuratissimo dei Greci non potevano dunque i Romani sperare d'aver mai una poesia lirica: e dai Greci dovettero per alcuni generi prendere a prestanza non solo le voci, i costrutti e le imagini, ma pur anche i soggetti, che per essere loro mancata una religione ed una tradizione schiettamente poetica, non trovavano negli usi, nelle credenze e nella storia propria.
   (1) Sulla fine del viaggio a Brindisi (Sat. 1, 8, 97-103).
   .... dein Gnatia lymphis
   Irati, exstructa, dcdit risusque ioeosque,
   Duni fiamma sine thura liquescere limine sacro
   Persuadere cupit. credat Jndaeus Apella,
   Non ego ; nanique deos didici securum agere aevum,
   Nec s quid miri faciat natura, deos id
   T stes ex alto cali demittere tecto.