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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo iv. — terza età'.
   171
   che l'universo penetra e feconda, come da lui in questa maravigliosa invocazione a Tenere?
   « Aeneadum genetrix, hominum divomque voluptas, Alma Venus, cadi subter labentia signa Quae mare navigerum, quae terras frugiferentis Concelebra,s, per te quoniam genus orane ammantimi Concìpitur visitque exortum lumina solis. Te, dea, te fugiunt venti, te nubila cadi Adventumque tuum, tibi suavis daedala tcllus Summittit flores, tibi ridoni aequora ponti Placatumque nitet diffuso lumine caelum. Nam simul ac species patefactast verna diei Et reseraia viget genitabilis aura favoni, Aeriae primum volucres te, diva, tuumque SignificaiE initum perculsae corda tua vi. Inde ferae pecudes persultant pabula laela Et rapidos tranant amnis: ita capta lepore Te sequitur cupide quo quamque inducere pergis. Dcnique per maria ac montis fluviosque rapacis Frondiferasque domos avium camposque vireniis Omnibus incutiens blandum per pectora amorem Efflcis ut cupide generatim meda propagent. »
   E qual più superbo grido di trionfo usci mai da petto mortale, di quello con cui il poeta annunzia la vittoria della sapienza sulla superstizione? « La re ligione, che già ci opprimeva coi suoi terrori, è vinta ai nostri piedi, e noi siam fatti pari agli Doi del cielo ».
   « Quare religio pedibus subjecia vicissim Opteritur, nos exaequat Victoria ccelo ».
   Diomede che ferisce Marte in battaglia, Achille che lotta contro le onde gonfiate dallo Scamandro per chiudergli il passo alle mura di Troja, Prometeo stesso che dalla rupe ove fu incatenato da Giove insulta al Dio persecutore, e lo minaccia di una vendetta non lontana, sono figure poetiche a petto di questa orgogliosa ma sublime affermazione che la scienza pareggi l'uomo a Dio, e le supersi 'zioni cadano vinte alla luce del vero. « Che l'uomo possa un giorno conoscere la cagione delle cose e non avrà più bisogno di credere, nè di tremare davanti ad una potenza occulta, cui la sola ignoranza gii fa venerare ». Cosi pensava Lucrezio, e molti ebbero prima e dopo di lui a dire lo stesso; perocché questa è, dacché mondo esiste, la più superila speranza dell'uman genere, lo stimolo che più lo spinge e lo sostiene nella dura e perigliosa ricerca del vero : è, se dir si voglia, l'assunto di tutte le filosofie, l'oggetto ed il fine ultimo d'ogni sr'enza, e sarebbe veramente, se quaggiù ci fosse dato ottenerla, guarentigia infallibile di felicità: quindi nulla di nuovo nella sentenza di Lucrezio; ma chi l'aveva ancora proferita con si ferma voce, con lingua sì potente ed altera?
   Ma il vero è che quest'austero interprete della natura, ed acerrimo avversario delle superstizioni è innanzi tutto un grande poeta, onde spesso gli accade, che mentre tenta di cancellare la divinità dalla coscienza deg' altri uomini, la ritrova fatalmente nella propria, mentre la vuole cacciare dalla natura, dà alla natura stessa gli attributi divini. Ed essa gli torna ad ogni tratto alla monte nelle credenze popolari, nei nomi stessi di cui si vaie nel suo entusiasmo per descrivere la sapienza del maestro o le potenze naturali, gli torna in quelle pie costumanze per le quali le genti traggono in folla ai tempii, e si prostrano ai piè degli altari quando la peste, o la guerra od altra publica sventura faccia loro implorare l'aiuto del cielo. E questo