166 LIBRO I'RIMO.
Ma ili tutti questi componimenti nessuno raggiunse l'altezza del poema di Lucrezio (1), perchè nessuno degli scrittori, se ne leviamo forse Ennio, si propose un fine si grande e lontano com'era quello di conoscere l'essenza e le cagioni delle cose, e nessuno certamente ebbe come Lucrezio pari alla temerità dell' assunto la potenza dell' ingegno ed il fervore dell' anima. Nè alcuno aveva prima di lui potuto versare in un poema didattico tanta copia di idee e tanto calore di affetti, nè mostrarci una si profonda cognizione del cuore e de' consorzii umani ; perchè nessuno forse aveva come lui saputo patire ed osservare. La tristissima condizione de' tempi, le comuni miserie degli uomini, gli errori, le delusioni, le colpe d'ogni maniera che essi soffrono o commettono, quando la luce del vero non li illumini e guidi, tutte queste cose vennero dopo una esperienza, della quale noi non possiamo dire quanto fosse lunga, ma intendiamo che dovette essere precoce ed intensa, vennero, dico, a riflettersi come in uno specchio nell'animo del poeta; e per esse egli vide e misurò tutta la profonda vanità della vita. Per ciò il poema di Lucrezio si stacca da tutti gli altri di limil genere, e, pur ripetendo i pensamenti d'una scuola forestiera, conserva quello spiccato carattere di originalità, che alle opere d'arte vien dato dalla persona dell' autore, e dalla qualità dei sentimenti che interpreta o dei bisogni che accontenta. Perocché quantunque la società romana di questo secolo, coi suoi errori, coi suoi delitti e colle amarissime noje che di quelli erano frutto, sia tutta quanta nel poema della natura, ed il poeta ritraendola abbia voluto mostrare ai suoi contemporanei che un solo modo a loro rimaneva di salvarsi da mare sì tempestoso, quello di raccogliersi nel sicuro tempio della sapienza, non è men vero che i supersl .ziosi, gli avari, gli ambiziosi, i dissoluti e quanti in ogni tempo hanno la mente turbata dall'errore o l'animo legato da affetti disordinati, leggendo il poema di Lucrezio debbono confessare che se molti mali patirono per quello, nè anche di questi ebbero mai a dirsi gran fatto contenti. Quindi una poesia essenzialmente umana ed universale; perchè trae la sua ispirazione dalle sorgenti stesse delle credenze e dei sentimenti all'uomo più connaturati, nè cessa d'esser vera ed efficace, per ciò solo che ili secoli più gentili e più tranquilli le città non vedano pili gli orrori che da Siila a Clodio funestarono Roma. Perocché innanzi che tutte le tenebre dell'ignoranza siano diradate, e che le passioni obbediscano docilmente all'impero della ragione , gli uomini continueranno a desiderare ed a cercare que' due supremi beni dell'intelletto e dell'animo, che sono la verità e la pace, e sarà cara a loro ogni dottrina, dilettevole ogni libro che insegni il modo di conseguirli. Questo è dunque il pregio essenziale del poema di Lucrezio: ch'esso risponde ai problemi più alti e più urgenti dell'umana destinazione; a que'problemi la soluzione de'quali non può essere a nostro agio differita, perchè da essa dipende la felicità o l'infelicità nostra per tutta la vita.
Se non che la nuova sapienza che il poeta volle insegnare a Memmio, e per esso ai Romani, era pure quella dottrina di Epicuro, che ai prudenti di questo e de' passati secol era parsa tanto pericolosa al buon costume, e sovvertitrice d'ogni virtù publica e privata. Una filosofìa che riponeva il sommo bene nel piacere, che negava la provvidenza divina e l'immortalità dell'anima, che l'uomo e tutti i viventi faceva procedere dal cieco concorso degli atomi, soli indistruttibili ed eterni nell'assidua vicenda di vita e di morte che 1' universo modera e governa, una filosofia siffatta come poteva ella rendere l'uomo virtuoso e felice, se colla sua dignità gli toglieva pure il desiderio e la speranza del bene? se lo avviliva pareggiandolo ai bruti? E sopratutto come una dottrina tanto materiale ed empia poteva essere soggetto di sì alta e bella poesia?
È questo uno de' più gravi e più difficili quesiti che ci si presentino nella storia delle lettere romane, il quale non si può sciogliere se non da chi siasi fatto un più
(1) Vedi «opra Lucrezia gli Sludj di Patin. Tom I, c V opera di Marlha. Le poème de Litcrèce, ecc. Paris, Hacliette, 1809.