CAPITOLO Iii. —- sEcondA ETÀ'.
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può lungamente appagarsi di nudi precetti, per quanto siano alti e sapienti : essa ha bisogno di raccogliere le sparse cognizioni in un sistema, ed alle massime derivate dalla esperienza dare il suggello di una legge trovata e dimostrata dalla ragione. Alla contemplazione de' saggi sottentra allora la meditazione de' filosofi, e la natura, di cui si vogliono scrutare le forze e le leggi che la governano, diviene il tema comune d'una poesia più consentanea ai progressi delie lettere e della civiltà. Ad Esiodo ed a Solone succedono Senofane, Parmenide, Empedocle; i veri cantori epici della scienza.
Quando poi la filosofia, come la storia, ebbe rifiutata la veste poetica, il poema didattico dovette, come il poema epico ' cedere il luogo a componimenti più vivaci, più adatti ad eccitare colla ben composta vicenda del pianto e del riso la curiosità de' lettori e degli uditori. Ciò avvenne nella Grecia dacché la storia fu presa a scrivere da Erodoto, da Tucidide e da Senofonte, la filosofìa da Platone e da Aristotile. E nel periodo più glorioso della lirica e della dramatica i poemi didattici cessarono; finché esauste le pure fonti della ispirazione, e la poesia essendo diventata una mera arte di stillar puliti e canori versi, vennero rimessi in onore, e gli alessandrini poetarono di fisica, di geografia, di astronomia, di medicina, di storia naturale e di ogni altra scienza non per istruire altrui, che non era quella la via, ma per far pompa di dottrina e d'ingegno in artificiate descrizioni. Tali dovettero essere, a giudicarne dai Fenomeni di Arato, i dottissimi poemi di Eratostene, di Nicandro, di Callimaco e d'Apollonio (1); genere fattizio, il quale nè ti istruiva, nè ti dilettava, perchè non era nè scienza, nè poesia, e tutt' al più poteva piacere a qualche lettore erudito od ozioso per il merito delle difficoltà superate, e per le lusinghe di una dizione forzatamente arguta ed ingegnosa.
Questa successione dei tre generi di poesia didattica, che ini Grecia segue l'andamento naturale delle lettere e delle scienze, ci si presenta assai meno chiara ed ordinata in Roma, dove gli esemplari greci entrarono , come già si disse, ad un tratto ed alla rinfusa, sicché la scelta dell'uno anziché dell'altro dipese dall'ingegno o dal proposito degli scrittori, non dalla condizione generale della letteratura ; la quale essendo stata sin dall'origine imitativa, s'acconciava a ricevere in ogni tempo qualsiasi maniera di componimenti. Onde abbiamo forse ancora un saggio del primo genere nei Precetti di Ennio (2), e certamente un insigne esemplare del secondo nell' Epicarmo dello stesso autore. In questo secolo ed a poca distanza di tempo, mentre Lucrezio componeva sulle tracce di Empedocle il poema De rerum natura, e M. Cicerone traduceva i Fenomeni ed i Pronostici di Arato, Quinto Cicerone scriveva lo Zodiaco, Yarrone Atacino la Cosmografia o Varronis iter: specie di viaggio che 1' autore fìngeva di fare per la terra e pel cielo ; altri trattarono in versi questa o quella parte di geografia, di fisica, di storia naturale. Ned era solo spinto d'imitazione quello che muoveva i più colti ingegni, romani a trattare questo genere di poesia, ma vera curiosità scientifica e desiderio di acquistare deile cognizioni , che per loro erano in massima parte nuove. La scienza era tutta greca allora, e maestri di essa specialmente i dotti di Alessandria. Quindi altri può essersi accorto che eziandio questo terzo genere di poemi non fu in Roma tanto artificiato ed inutile come nella Grecia, e per il bisogno che i Romani avevano d'apprendere, riuscì meno descrittivo e più didattico.
Dalla filosofia e dalle scienze positive la poesia didattica si estese assai presto alle lettere, e qui dopo i didascalici di Azzio, gli epigrammi di Pomo Licino, il canone di Yolcazio Sedigito già mentovato, abbiamo in questa età da ricordare le Ebdomade di Yarrone, il Prato (Azi[).ùv) di Cicerone, VAmalteo di P. Attico e va dicendo.
(1) M. Patin. T. 1, 283-311, discorre lungamente e bene della poesia didattica presso i Greci, ed i Romani.
(2) Il titolo è Protrepticus sive Proecepla. Vablen, pag. 16o.