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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   164 LIBRO I'RIMO.
   poesia ì e l'epopea storica era dessa possibile in Roma a que' tempi ? Risponde per noi Orazio, il quale era buon giudice, e resistette sempre alle vive istanze che gli vennero latte da potenti amici e fra gli altri da Augusto, non tanto perchè dubitasse delle sue forze o gh gravasse di cantare le imprese di chichessia e nemmanco dell'imperatore, quanto perchè intendeva non essere questa la via di salire alle stelle e di rizzar monumenti più perenni del bronzo (1). Il poema storico è un genere falso per sè medesimo, e non vi fu in verun tempo od in veruna nazione ingegno per quanto potente, che viucesse la prova di farne un' opera d' arte dilettevole e duratura. In Roma poi era reso anche più difficile si dalla troppa vicinanza degli avvenimenti che si volevano cantare, e sì dalla condizione di parecchi di quegli scrittori, i quali seguivano alla guerra i proconsoli ed i propretori, facendo, già prima che la republica fosse spenta, l'ufficio di poeti cortigiani. Tali poemi erano dunque storie in versi, che si dettavano in latino ad uso degli Italiani, in greco ad uso dei Greci e degli altri popoli dell'impero (2).
   Nè più felice del racconto storico fu generalmente la poesia mitologica, pallida e quasi servile imitazione di questo o quel poema del ciclo mitico o trojano, e peggio ancora, dei poemi che su gli stessi argomenti erano stati composti dagli eruditi di Alessandria. Gli Argonautici di Apollonio Rodio recati in latino col Giasone di Varrone Atacino diedero origine ad un numero grandissimo di poemetti e novelle mitologiche, dei quali un esempio mirabile per verità d'affetti, evidenza di descrizione e stile perfettissimo ci fu però conservato nzW Epitalamio di Catullo. L'Euridice delia Georgica e la Bidone dell'Eneide sono dello stesso genere, solcliè fanno parie di più vasta tela.
   E l'efficacia della poesia alessandrina patetica, artificiale, erudita, tanto generalmente povera di concetti (pianto era pomposa, accurata e fin leziosa neila forma fu grande in quest'ultima età della letteratura republicana, talché per essa noi dobbiamo distinguere due scuole di poeti: ciò sono quelli che seguono le pedate de'vecchi classici romani; e dello stile forbito, della lingua limpida e snella poco si curano, o non tanto da posporre a siffatti pregi esteriori la sostanza dei concetti; e gli altri che d'un verso ben tornito, d' una figura arguta, d'una frase scintillante si dilettano assai piìi che d' aver espresso in forma propria buoni pensieri e veraci sentimenti. Ai primi appartengono ancora Varrone, Cicerone e il più grande di tutti Lucrezio ; va tra i secondi, sebbene i pregi dell' ingegno e dell' animo vincano in lui di molto i difetti della scuola, Catullo.
   La poesia didattica, come quella che secondava l'ingegno sobrio e pratico dei Romani, era stata coltivata assai per tempo, e noi possiamo trovarne le prime traccie in quei versi saturnii d'un antico contadino che dava precetti d'agricoltura a suo figlio (3). Più innanzi, ma prima ancora che la letteratura possa dirsi incominciata, ci abbattiamo in que' morali ammaestramenti di Appio Claudio, che Panezio lodava in una lettera a Q. Tuberone, ed a. Cicerone parevano ritrarre tutta quanta la sapienza de' Pitagoric:' (4). Era questo il primo e più antico genere di poesia didattica, quella che i maestri sono convenuti di chiamar gnostica : perchè tutta si compone di sentenze e precetti dedotti dalla osservazione e dalla esperienza intorno alle cose che più giovano all' arte della vita.
   Insegnamento semplice, primitivo, che dalla navigazione all'agricoltura, dall'economia domestica alla morale ed alla religione, abbracciava tutto che potesse tornar utile e decoroso all' uman genere, e del quale la Grecia avea dato ai Roinauì più d'un insigne esempio col poema de' Giorni e delle Opere di Esiodo, colle sentenze di Teognide, di Focillide e di Solone. Ma la scienza della natura e della vita non
   (1) Vedi fra l'altre 1' ode sesta del libro I.
   (2) Vedi ancora Patin. T. 1, pag. 4GB. (5) Teuffel. Romische littcratur, pag. 29.
   Tusc. IV. 2. Alcune poche giunsero fino a noi, come quella che l'uomo è fabbro della sua
   fortuna,