CAPITOLO Iii. —- sEcondA ETÀ'.
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neologismi, delle audacie ed anche delle dizioni volgari che ne caratterizzavano la lingua e lo stile; di Siro è naturale il pensare, e le sue sentenze lo provano, clic essendo straniero dovesse starsene pago a quel latino clic i suoi maestri gli aveano insegnato, e che meglio poteva cattivargli il favore degli uditori (1).
Quindi il suo dire è tanto semplice e naturale, quanto son veri e belli i pensieri, e solo qualche volta s'induce dietro 1' esempio del suo rivale a tentare qualche vocabolo composto. Nè anche a lui manca però taluna di quelle grazie e ricercatezze di lingua e di stile, con cui i mimograli di questo secolo si studiavano di correggere 1' abbiettezza del componimento, e come di nobilitarlo.
Mentre il popolo romano si veniva così divertendo coi mimi, che degli scrittori di forte ingegno s'erano indarno provati di elevare alla dignità di composizioni letterarie, onde la buona e sincera poesia dramatica si poteva dire cessata coi grandi nomi del sesto e settimo secolo, un' opera varia ed assidua ferveva intorno agli altri generi di poesia ; e se non nascevano subito de' capolavori, si preparava d'ogni parte la via a chi li potesse col tempo creare. Si miglioravano intanto la lingua e 1' arte del comporre, e gli ingegni mettendosi per sentieri fin qui non tentati acquistavano la coscienza delle proprie forze, e di ciò che si potesse fare in avvenire.
La satira fu ripresa da M. T. Varrone, il quale seguitando le orme di Menippo da Gadara, filosofo cinico, ne fece un componimento che ritraeva assai più dell'antico genere di Ennio1, che non del nuovo di Lucilio, e mescolando la prosa colla poesia, la novella col dialogo, e le disputazioni filosofiche spargendo di sali e frizzi mordaci, •volle tentare se gli veniva fatto di correggere cogli esempii, coi ragionamenti e col ridicolo gli errori ed i vi2i più gravi del suo secolo; che trascinato dalla forza delle cose scendeva per una china, la quale all'austero filosofo pareva molto pericolosa. Egli che nella republica si era, coni' abbiam visto, schierato dalla parte dei conservatori contro i democratici, sì propose di difendere colle satire la severità dell'antico costume contro gli esemp: d'una gioventù pervertita e senza freno, le tradizioni delia buona letteratura fondata da Ennio, da Plauto, da Terenzio, da Pacuvio contro le licenze e le vanità della nuova poesia, la vecchia Roma, in una parola, contro la nuova; nella quale, come die'egli con una acerbissima figura, il foro era divenuto un porcile, e chi la guardasse non poteva più disceriiervi coll'occhio alcuna traccia di que'saggi ordinamenti, che 1'aveano pur fatta si grande e potente (2). Altro scrittor di satire fu Varrone Atacino, ma, al dir d'Orazio, non guari felice.
Nella poesia narrativa, clie s' era taciuta dopo Ennio per dar luogo ai gloriosi successi della dramatica, si disegnò in questa età più chiaramente la separazione, già cominciata ab antico, tra il racconto storico ed il poema mitologico. Questa divisione risaliva alle origini stesse della letteratura, quando, mentre Livio Andronico traduceva in saturnii latini l'Odissea, Nevio ed Ennio tentavano un' epopea fondata sulla storia e sulla tradizione nazionale. I grandi avvenimenti della storia romana e gli stessi casi presenti della republica offrivano al racconto storico una larga materia, e potevano, nella mente di più d' uno scrittore, parer capaci di elevare anche la poesia alla dignità d'un arte utile allo stato, come già ne' suoi varii generi era diventata la prosa. E pullularono difatti poemi a josa sulle imprese di Mario, sulle guerre asiatiche di Lucullo e di Pompeo, sul consolato di Cicerone, sulle spedizioni e le conquiste di Cesare nelle Gallie e nella Bretagna, e fino sulle fazioni dell'ultima guerra civile che terminò colla signoria di Augusto. Con questi poemi venne formandosi quasi dissi un ciclo storico, nel quale, come già nel ciclo epico della vecchia Grecia, figurano i nomi di parecchi poeti, quali : Ostio, Furio Bibacolo, Marco e Quinto Cicerone, Varrone Atacino, ed altri cui l'oblio avvolse nella sua notte. Ma fu questa mai vera
(1) Vedi ancora M. I'atin « Etudes sur la poesie latine. Tom. li, pag. 5'J3 e seg. : e il bell'opuscolo di Edoardo Woelfflin intitolato: Publilii Syri .sententiae, e pubblicato coi tipi di Tcubner a Lipsia 1860.
(2) Vedi Mommsen, Storia romana. Voi. 3, pag. 585.