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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   LIBRO I'RIMO.
   per dir vero, non ebbero da far altro che proseguire l'opera di Novio e Pomponio, levando alle atellane i personaggi oscili, divenuti oramai nojosi per la loro uniformità.
   Così i mimi cessarono d'essere un divertimento della sola plebe per diventare unI opera d'arte, e piacquero non solo per la scurrile imitazione degli atti, de' momenti e dei caratteri più sconci o più ridicoli, ma eziandio per i liberi motti e le argute sentenze, che dalla bocca di que' buffoni uscivano improvvisamente a ricordare qualche alta o dolorosa verità. La libertà cacciata dal foro e dal senato aveva trovato un ultimo rifugio nel teatro, ed i più illustri cittadini assistevano a questi spettacoli dove per un contrasto di cose, che non è nè strano nè nuovo, le più bello massime di morale, le verità più antiche e profonde, i detti piti acerbi ed animosi contro le colpe o le miserie dei tempi si mescolavano con lazzi e parole quanto si può dire oscene, e parevano scaturire naturalmente dalla rappresentazione di ciò che il vizio avesse di più laido e di più vergognoso. Perocché molto cammino s' era già fatto da que' tempi quando 1'onor delle matrone si rispettava ancora sulla scena, dove pur nelle comedie più licenziose non si vedevan salire se non schiave o cortigiane; la corruzione avea progredito, ed il vizio era oramai così sfrontato e comune, die gli scrittori potevano ben descrivere liberamente gli stupri, gli adulterii e tutte le altre libidini onde andavano svergognate anche le madri e le pulzelle delle più illustri famiglie. Erano que' giochi una vivente imagine della società : quadro aggradevole di vizii già noti o scuola di nuovi; e non avea torto Ovidio quando da Tomi muoveva dolce rimprovero ad Augusto, perchè lo avesse severamente punito di una licenza tanto minore di quelle che egli, e con lui ti senato applaudivano nel teatro.
   Dcnique non video de tot scribentibus unum, Quem sua perdìderit Musa-: repertus ego.
   Quid si scripsissem mimos obscena jocantes ? Qui semper juncti crimen amoris habent ?
   In quibus adsidue cultus procedit adulier; Verbaque dal stulto callida nupta viro.
   Nobilis hos virgo raatronaque virque puerque Special, et ex magna parte senatus adest:
   Nec satis incestis temerari vocibus aures: Adsuescunt oculi multa pudenda pati.
   Quumque fefellit amans aliqua novitate maritimi, Plauditur et magno palma favore datur (1).
   Se non che Cesare, quasi tante attrattive ancora non bastassero, quando fu padrone di Roma n' avea voluto aggiungere una nuova, dando ai suoi concittadini lo spettacolo di un vecchio ed onorato cavaliere, che danzasse e gesticolasse sulla scena per contendere 1' onore del premio ad un giovane affrancato. Quella gara tra Decimo Laberio e Pubblio Siro, i due più rinomati mimografi del tempo, a cui assistette con Cicerone tutto il senato ed il fiore della cittadinanza romana, e finì colla vittoria del favorito di Cesare e della fortuna, è uno de' fatti che meglio caratterizzano la presente età, e quel turbine di cose, quella confusione di sentimenti e di idee
   oll'rent cn ccrtains moincnts au gòut changeant du public, voilà Ics puissanccs dcsqucllcs les genres de littérature relèvent et qui Ics font ou prospcrer ou décliner ». Così scriveva or sono venf anni M. Patin, e senza cercar altro son queste davvero le cause principali e più efficaci della varia fortuna delle lettere. Cause tanto manifeste che tutti te dovrebbono vedere, e tanto vecchie che tutti le dovrebbono sapere a memoria, se i metafisici per parer più acuti degli altri non si tenessero obbligati di cercare nelle nubi ciò clic ognuno può facilissimamente vedere e toccar con mano qui in terra.
   (1) Trist U, 497.