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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO IV. — TERZA ili.
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   Giugurta. Ma da Cesare, di cui fu caldissimo partigiano ed amico, lo divisero per lungo tratto l'ingegno e la fortuna differenti, quantunque fossero costantemente uniti nel proposito di abbattere la vecchia nobiltà e di dare nuovo ordine e forma alla republica. Perocché fosse leggerezza di mente, furor d' animo, o la mala compagnia colla quale da giovane s' era mescolato, egli non usò nella parte che prese ai pu-blici negozii veruna di quelle virtù che tanto loda ne'suoi scritti, e pur vedendo le immorali azioni de' suoi avversarii ed i mali che da esse derivavano alla patria, non seppe essere nè più saggio, nè più onesto, e nò anche più forte di nessun di loro. Tanto è ciò vero che la inimicizia di un censore bastò per farlo rientrare nella vita privata, da cui lo tolse soltanto ed ancora per breve tempo la fortuna di Cesare. Dunque nessuna azione gloriosa di sè egli aveva da ricordare, e se non fossero stati il tribunato dell' anno 702 e la propretura dell' Àfrica, nessuna memoria di lui sarebbe rimasta ne' grandi ma dolorosi annali di questo secolo.
   Di qui la grande differenza de'due scrittori: l'uno de'quali narrava ie opere proprie con l'alta e sicura cosciouza d'un uomo che sa d'aver compito grandi e difficili imprese, e col proposito di mostrare ai suoi concittadini, che per queste opere egli meritava bene di prendersi quegli onori e quella somma di poteri che chiedeva non per sè solo, ma a vantaggio di tutti; l'altro invece escluso con ignominia dai pu-blici affari, nè più osando sperare o chiedere per sè alcuna parte nel governo dello stato, raccontava i fatt altrui degni di memoria, per ciò che questo gli era apparso il solo modo non indecoroso di acquistar fama e di essere insieme utile alla patria. Quegli pertanto scrive come combatteva: con semplicità, con rapidità, con grandezza, ed usando di quella sola arte, che i sommi intelletti naturalmente posseggono, di dire ogni cosa chiaramente ed efficacemente. Non dice tutto ciò che ha fatto, nè obbedisce con tanto scrupolo alle leggi della storia da narrarci le ruberie, le uccisioni, e 1' altre muti i sevizie che non rade volte deturparono le sue vittorie e resero uggioso ai popoli i nome romano: sa tacere a tempo; ma nulla aggiunge per accrescere oltre il giusto i torti o gli erro, i de' suoi nemici, de' quali se non pare che lo commuovano le sventure nè che lo esaltino le virtù, perchè la sua penna è fredda sempre nello scrivere come la lama della sua spada, non dice però mai nulla che detragga al loro merito od .rrida ai dolori d' alcun uomo o nazione che da lui sia stata vinta. Nè loda guari sè medesimo, quantunque descriva ogni volta con gran cura e metta in buona luce così i disegni ed i voleri come le azioni sue: in breve eg è giusto e vero storico di sè stesso ; nè chi legge s'accorgerebbe di lui, se non sentisse ad ogni tratto in chi narra quella stessa vigoria di mente e di mano, che aveva potuto in si poco tempo terminare imprese sì grandi.
   L'altro ha voluto fare della storia un'arte, e calcando le orme di Tucidide , ammaestrare i presenti colle lozioni del passato. Arte di scrittori politici, che de'fatti vogliono indagare le più lontane cagioni, scoprire i legami, prevedere le conseguenze, e sia che l'ingegno li soccorra o li illumini una lunga esperienza deila vita, anche di quegli avvenimenti che pajono più fatali nella storia finiscono per trovar sempre il principio e la ragion vera nelle virtù e nei vizii degli uomini. E pertanto ossa 11011 è più una storia che narri semplicemente i fatti un dopo l'altro come sono avvenuti, ma li sceglie e li ordina in ragione della loro importanza 0 di quel fine particolare che l'autore si è proposto scrivendo. Il quale per Sallustio era di dimostrare, che i mali della republica procedevano dai corrotti costumi de'chtadini, ed in ispecial modo dalla superbia e dall'avarizia della nobiltà. Contro di le essersi fatta la guerra Giugurtina, che no mise allo scoperto tutte le colpe e le vergogno, ed. ancora dal di lei grembo essere uscita quella mano di audacissimi scellerati, che sotto velo di rivendicare la libertà oppressa e la dignità del popolo conculcata, volevano empire Roma e l'Italia di ruine e di sangue. Tale è in fondo il concetto delle storie di Sallustio, il quale de'suoi propri vizii, della parte presa alle turbolenze demagogiche e del danaro estorto ai provinciali dell'Africa pare volesse fare ammenda, insegnando altrui essere dovere degli uomini praticare la virtù e spendere la vita in qualche utile opera della mano 0 dell'ingegno, se vogliano lasciare di sè grata e durevole memoria ai posteri.