Stai consultando: 'Storia della Letteratura Romana ', Cesare Tamagni

   

Pagina (169/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (169/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   capitolo iv. — terza et». 153
   in ogni genere di letteratura. Neil' eloquenza abbiamo nominato Ortensio, al quale possiamo aggiungere M. Licinio Crasso il triumviro (638-701), L. Licinio Lucullo (640-008), M. Pupio Pisone Calpurniano, studiosissimo degli oratori greci, ad udirà il quale Cicerone veniva spesso accompagnato da suo padre, di tanta dottrina pareva fornito; Cneo Pompeo Magno ed altri molti, i nomi de'quali si possono leggere nel dialogo degli illustri oratori, senza che sappiamo se le loro orazioni siano mai state publieate. Nella storia con Tito Pomponio Attico, autore di una cronologia della storia romana, sono da menzionare ancora l'oratore Ortensio, che scrisse degli annali lodati per lucidezza da Vellejo Patercolo (1), Procilio, L. Luccejo, quello stesso da cui Cicerone desiderava e sperò alcun tempo che fossero narrate le gesta del suo consolato (2), Snlpicio, e L. Elio Tuberone, che fu di Cicerone cognato ed amico ; Quinto Cicerone, scrittore di annali, e M. Tullio Tirone che con pietà figliale compose la vita del suo patrono.
   La giurisprudenza fu portata innanzi, cosi da divenire una dottrina ed una professione sempre più indipendente dalla politica, massime per opera di Cajo Aquilio Gallo che fu scolaro del pontefice Quinto Scevola, e del discepolo di lui Servio Sulpicio Rufo ; il quale per la dottrina e gli scritti superò di lunga mano il maestro, lasciando alla sua volta una bella schiera di scolari eredi de' suoi insegnamenti e del suo amore alla scienza.
   Giurista e storico fu, come si è veduto, anche Cicerone ; e della storia com'era da lui intesa, e gli pareva che dovesse essere scritta ai suoi tempi, ci dà i tratti caratteristici nel primo delle Leggi e nel secondo dell'Oratore. Mostra quivi assai bene ciò che fin allora mancasse agli scrittori delle cose romane, e vuol dirci che egli solo era l'uomo da conseguire anche in questo genere la perfezione. Se non che non potendo, come retore che egli era, concepire la storia altrimenti che quale un' opera oratoria, e come uomo, in cui il senso della vanità era assai vivace, non potendo restar fedele nei fatti a quella che egli chiama prima legge della storia, ciò è che lo scrittore non osi dire il falso (3), ci è lecito pensare che quand'anche una vita più lunga e più tranquilla gli avessero concesso di dare corpo al suo disegno, egli non sarebbe stato nella letteratura romana il modello degli storici. Ad essere buon giurista gli era ancora d'ostacolo il suo ingegno oratorio, che io portava a trascurare assai volte e spesso anche a non iutendere le sottili distinzioni della giurisprudenza.
   Ma l'uomo che dopo Cicerone sta sopra a tutti gli scrittori di questo periodo, che più di tutti seppe e scrisse più di tutti, lavorando fino agli ultimi istanti di una vita lunga e non priva di travagli, è M. Terenzio Yarrone. Egli solo abbracciò, si può dire, l'universo scibile: essendo stato oratore, storico, filosofo, grammatico, ed archeologo eruditissimo; nè gli mancò la feconda vena per castigare con componimenti satirici i vizii e le ridicolezze de'suoi contemporanei. E fu insieme onestissimo uomo, e finché i tempi glielo permisero, forte cittadino e'leale difensore del suo partito; per il quale combattè contro Cesare nella Spagna, e fu tra i proscritti dai triumviri.
   Tanta dottrina ed un patriotìsmo così alto e sincero gli aveano conciliata la stima e la benevolenza de'più chiari tra i suoi concittadini: talché Pompeo lo elevò più volte a cariche ed ufficii difficilissimi, e da Cesare fu posto a presiedere la prima biblioteca publica, che quel grande riformatore di ogni cosa volle aprire in Roma. Di Cicerone fu amico e famigliare, ma non senza che la mutua ammirazione fosse turbata da qualche nube di sospetto e di gelosia; poiché nè egli aveva mai dedicato alcuna delle sue moltissime opere al grande oratore, e questi per ripicco stette lunga pezza senza fargli posto in alcuno di que'suoi dialoghi, dove convocava tratto
   (1) Veli. Pat. II. 16.5 c Maxime dilucido Q. Hortensiu,3 in annalibus suis rettulit».
   ^2) Ad Fani. V. 12.1 (dell' anno 698).
   (5) Po, Or. II. 15.62 «quis nescit. primam esse bisloriae lcgem, ne quid falsi dicere audeat?» .
   Tam\gni. Letteratura Rorvana. 20