CAPITOLO Iii. —- sEcondA ETÀ'.
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voleva essere re. Rinascevano nella sua mente le memorie e con esse i nomi di Siila e di Mario, e vedendo Pompeo fuggir da Roma all'appressarsi di Cesare, sentiva dolore e sdegno insieme d' aver sperato, ch'egli potesse un giorno sedere al rimone dello stato per procurare una vita beata, gloriosa e piena di virtù ai suoi concittadini. «Hoc, scrive ad Attico nel 705, Cnaeus noster quum cinica nunquam tum in hac causa minime cogitavit Dominatio quaesila ab utroque est, non id aetum, beata et honesta cìvitas utesset. Nec vero ille urbem reliquit, quod eam tueri non pos-set, nec Italiani, quod ea pelleretur, sed hoc a primo cogitavit, omnes terras, omnia maria movere, reges barbaros incitare, gentes feras armata,s in Italiani adducere, exercitus conficere maximos. Genus illud sultani regni jam pridem appetitur, multis, qui una sunt, cupientlbus, An censes niliil inter eos convenire, nullam pa~ ctionem fieri potuisse ? Hodie potest. Sed neutri iv.o-xòq est ille ut nos beati simus: uterque regnare vult ». Per chi credeva d'aver confidato a Pompeo la causa della libertà, il disinganno non poteva essere più amaro; ma il sentimento de'inali presenti, de' quali i suoi privati non erano piccola parte, non vinceva per avventura in lui la prudenza del politico1? Dir che Pompeo e Cesare non miravano a render beati i proprii concittadini, ma al regno, non era in que' giorni estremi dar segno di molta ingenuità? Cicerone pur in mezzo a quelle vere e grandi angosce della guerra civile, se fa più savio di molti del suo partito nel giudicare delle forze e della fortuna di Cesare, non seppe però mai abbandonare quel suo sogno di una città d ottimati, per fondare la quale e farvisi una cospicua parte avea combattuto tutta la sua vita, e pochi anni prima di Farsaglia offriva come ultimo mezzo di salute ai Romani un pacifico moderatore, mentre essi per la necessità delle cose chiedevano un tiranno.
Nuiladimeno se il dialogo della Republica cede per originalità d'invenzione al dialogo vkpl :vclcTeiag, e se per civile sapienza è di molto inferiore ai libri polìtici di xVristotile, rimane ancora per il letterato un libro aggradevolissimo, e per lo storico un insigne documento delle opinioni e deile speranze d'un uomo, che tanta parte ebbe in quegli ultimi casi di Roma republicana.
Più vasto assunto e più diffìcile s'era addossato scrivendo 1 dialogo delle leggi, ma non lo condusse a termine, e fors' anche le parti che ce ne restano non furono da lui pullicate. Certo in nessuno de'suoi scritti egli ne fa menzione.
Ora se voghamo tacere delle poesie, la fama delle quali fu ben presto oscurata da altre mag^ tori, e delle istorie che compose od aveva in animo di comporre per conseguire d vanto di aver dato esso ai Roman anche questo genere di letteratura, onde in grazia sua nulla più avessero da invidiare alla Grecia, diremo ch'egli lasciò di se e dei suoi tempi la più sincera e più vivace dipintura, che uno storico potesse desiderare, nelle sue lettere. Le quali non so se siano state considerate abbastanza da chi ancora recentemente volle negare ogni grandezza politica a Cicerone. Egli uomo e nome nuovo sorse per solo suo merito in breve tempo pari ai nomi più antichi e più illustri di Roma, dai quali tutti fu ricercato d'amicizia e di consiglio. Ed a tutti egli sci sse con quella dimestichezza che corre tra uguali, ed aprendo a tutti sia nei nrivmi, sia ne'publici negozii schiettamente l'animo suo. Poteva egli valor nulla quest'uomo, al quale mandavano lettere amichevoli e riverenti Catone, Antonio, Pompeo, Celio, Dolabella, Q. Metello, i due Bruti, e Giulio Cesare? Il vero è che in quella compagina d'egregi cittadini, che per parecchi anni gli fecero onorevole corona, e che non cessarono di avergli considerazione ed affetto pur quando gli divennero nemici, egl: soprastava a tutti per quelle doti che a lungo andare fanno sole gli uomini immortali, perchè sole creano di queìle opere che il tempo non distrugge. La grandezza poliuca di Cicerone era riposta nel suo ingegno, nel suo patriotismo, ne'suo scritti; i quali come destarono 1'ammirazione de'contemporanei, così furono da posteri giudicati il più insigne e veridico monumento che uomo potesse elevare alla grandezza, non solo politica, ma letteraria e civile della sua patria. E quando il nome e la storia di un uomo e di un gran popolo si congiungono siffattamente pome quelli di Roma e di Cicerone, quando quest'uomo comoendia in sè i pensieri