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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   LIBRO I'RIMO.
   lo go di Cicerone intorno alla republica, a cui fecero seguito i libri delle leggi. Entrambi rivelano l'intenzione d'imitare i dialoghi di Platone ne pi irMnetcÀ e ffll c vc[jj,)v^ ma sono scritti con un intento pratico e nazionale, che era di risolvere dei problemi civili e politici divenuti urgenti. Portando la scena del dialogo in casa del minore Africano, nell' età aurea di Roma, Cicerone volle indurre i suoi concittadini a considerare le cagioni di quella passata felicità e grandezza, acciocché, confrontandola colle presenti miserie, si persuadessero di cessare lo civili discordie e, deposte le male ambizioni eie cupidigie, tornar tutti ali 'obbedienza delie Eggi, nella quale soltanto riposa la sicurezza e la prosperità delle repubiiclie. Egli voleva ricondurre la costituzione di Roma ai suoi principii, e si lusingava che i suoi contemporanei fossero per ricevere volontieri una lezione di diritto publico interno e di carità patria da Q. Elio Tuberone, da P. Rutilio Rufo, da Lelio, da Manilio e dagli altri illustri amici del giovine Scipione. Ritessendo la storia delle istituzioni romane fin dalle origini volle trovare in esse quell'ideale di repubblica elle :. filosofi andavano invano cercando, e che a lui parve consistere in una giusta mescolanza delle tre forme di governo, elle sono : la Monarchia, 1' Aristocrazia, e la Democrazia. Fintantoché queste tre forze si bilanciano, cosi che l'una non vinca e soprafaccia 1' altra, lo stato, cosi egli ragiona, può rimaner libero, mantenendo fra i cittadini l'uguaglianza e la giustizia, e promovendo l'incremento della comune prosperità. Che se queir equilibrio si rompa, le città percorrono allora quella fatale vicenda di cui son piene le storie, e tornando una dopo 1' altra le forme semplici, passano successivamente per le mani dei tiranni, do' nobili, e delle plebi. In ciascuno de' quali stati, e massime ne' due primi, ben possono ì popoli trovare un momento di pace ed anche di grandezza, ma nò la giustizia, che consiste nell' uguaglianza dei diritti, nè la libertà vi sono possibili; e son pur queste le condizioni essenziali d'una nazione potente e l'elice.
   Ma per restituire questo giusto equilibrio delle publiclie podestà ogni giorno insidiato o palesemente minacciato dagli ambiziosi e dai violenti, per rendere alla crollante republica il vecchio suo vigore, per rimettere ognuno a suo posto e far che tutti difendessero non più che il proprio diritto rispettando 1' altrui, per dare insomma forza alle leggi e toglierla alle passioni, bastava essa la voce di un cittadino per quanto autorevole fosse ed eloquente? E bastava poi tornare all'antica costituzione, richiamarla ai suoi principii, come con frase usata già si disse, per salvare la republica? Dopo tre secoli di conquiste e d'interni rivolgimenti, dopo che la cittadinanza s'era dovuta estendere a tutti gli Italici, nè si negava ai Galli ed agli Spagnuoli che la domandassero, Roma era ancora la stessa? Il libro della republica fu dunque un bei sogno, fatto non negli spazii della fantasia, come l'altro di Platone, ma nei campi della storia; fu un anacronismo. Perocché le nazioni non s: rinnovano tornando al passato, ma movendo prudentemente incontro all'avvenire: e del problema politico nel quale eran contenute le sorti della sua patria Cicerone non vide che un aspetto solo, quello veramente che riguardava a lui ed agli interessi del suo partito. E che nel modo da lui suggerito non si potesse sciogliere, fu pur dovuto sentire da lui stesso, per quanto Celio gli scrivesse da Roma che i suoi libri politici erano stati accolti con grandissimo favore. Ciò voleva dire soltanto che si leggevano volontieri, perchè, oltre d'essere scritti bene, trattavano un tema ch'era allora nelle menti e negli animi di tutti ; nonché Pompeo, Cesare, od altri si avvisasse di poter ricondurre nella republica l' aureo secolo degli Scipioni.
   11 moderatore, che Cicerone domandava per reggere e contenero le contrarie forze dolio stato, non era quel desso a cui egli pensava scrivendo, nè oramai la republica si poteva salvare se non passando nelle mani di un solo. Il vecchio equilibrio si doveva spezzare, acciocché un uomo di genio potesse ristabilirlo su altre basi, dando la sua parte di diritti nello stato a tutti i nuovi interessi che erano sorti col dilatarsi dell' impero e coi progressi della civiltà, La gran lite durava dal tempo dei Gracchi, e nondimeno, dopo il cammino ch'ella avea fatto in quasi due secoli, Cicerone non vi sapeva ancora vedere che la contesa di duo uomini, ciascuno dei quali