Stai consultando: 'Storia della Letteratura Romana ', Cesare Tamagni

   

Pagina (163/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (163/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   CAPITOLO Iii. —- sEcondA ETÀ'. 147
   orazione in favore di Sestio consegnato, quasi dissi, il suo memoriale politico (1), sentì elle gli conveniva meglio di vivere fuori di Roma in questa o quella delie sue ville, dedicando agli studj quel tempo che più non metteva conto di spendere ne'public! negozii. I)i questi suoi sentimenti son piene le lettere di quel tempo ad Attico ed agli altri amici, ed in ispecial modo quella lunghissima e bel'.ssìma che scrisse a Lentulo nell'anno 700. Quivi dà ragione all'amico dei molti suo: scritti, poi dice: « Scripsi etiam — nam me jam ab orationibus dipingo fere referoque ad mansuetiores Musas, quae me maxime sicul jam a 'prima adulescenlia delc-etarunt — scripsi igilur Aristotelio more, quemadmodum quidem volili, ires libros (in disputatione ac dialogo) de oratore quos arbìtror Lentulo tuo fore non inutiles. Abhorrent enim a communibus praeceptis atque omnem antiquorum et Aristoteliam et IsocraUam rationem oratoriam complecluntur ». Da questo punto cominciano se non gli studj, le vere ed originali scritture retoriche di Cicerone ; quando stanco, come già dissi di lottare inutilmente colle fazioni, di ondeggiare tra Cesare e Pompeo, i quali non per la salute della republica, ma per cupidigia di potere si infìnsero prima amici e poi si ruppero guerra, e parendogli d'avere oramai colle orazioni conseguita tanta gloria che da nessuno potesse essere superata, pensò che non fosse inutile alla sua fama stessa ed all'arte che professava, esporre intorno alle varie part. di essa i suv' pensamenti ed i risultati della sua lunga esperienza.
   Perocché prima di lui la retorica non era stata trattata che dai Greci, od anche da maestri latini seguendo sempre le indicazioni delle scuole greche, nelle quali primeggiavano i nomi del vecchio Ermagora, di Teodoro di Gadara, e del di lui avversario Apollodoro pergameno. I Retorici ad Erennio, già ricordati, furono il primo buon manuale di retorica latina, e Cicerone stesso nella sua giovinezza n' aveva cominciato uno consimile, che in età più matura gli parve indegno di sè, della sua dottrina e sperienza, e non fu mai condotto a termine. Erano, come si raccoglie dalle sue parole, appunti giovanili, o come noi diremmo oggi, i suoi fascicoli delle lezioni d retorica. I due libri, che ci sono pervenuti, trattano dell' invenzione, e sono, come i Retorici ad Erennio, cavati verisimilmente da Ermagora.
   Era dunque mestier che, congiungendo gli insegnamenti dei retori greci da lui appresi non già dagli scarni manuali scolastici, ma dai libri e dalla bocca stessa de'grandi maestri, con ciò che egli stesso esperimentando e sulle fatte esperienze meditando in tanti anni di esercizio aveva imparato, desse ai Romani una compiuta dottrina retorica, la quale fosso fondata sopra larghi principii e retta da norme ciliare ed universali. Questo egli fece, come ne scrive a Lentulo, coi tre libri del dialogo De Oratore. Quivi colla scorta di Aristotele e di Isocrate, che in due diversi aspetti aveano esposta tutta la retorica — dando quello, com' era suo costume, maggiore rilievo alla sostanza, questo alla forma del dire — dopo d' avere delineata e colorita l'idea del perfetto oratore, tratta prima della materia, poi della forma dell'eloquenza, distribuendo le due parti a quo' due oratori che meglio le potevano rappresentare, voglio dire questa a Crasso e quella ad Antonio.
   Ma scrivendo il Dialogo De Oratore Cicerone non aveva solamente in pensiero di far cosa utile e gradita al figliolo di Lentulo, ed agli altri giovinetti di queli' età che studiassero retorica; la sua ambizione mirava a più alta meta, giacché egli voleva sopratutto difendere il suo genere oratorio, aggiungendo ai successi ottenuti nel senato e nel foro la conforma di una rigorosa dimostrazione scientifica. Al che due motivi lo spingevano: l'uno di mostrare ai Romani ch'egli era stato davvero il primo e più grande oratore, perchè solo aveva saputo congiungere l'ingegno e la speiienza con un vario e ricchissimo corredo di cognizioni, l'altro di ribattere le objezioni di ogni fatta che si muovevano sia contro ai suoi precetti in particolare, e sia contro l'ut-'ità stessa della retorica in generale. La quale essendo, come egl'
   (1) Vedi in ispecial modo come dal eapitoio 4'J in avanti caratterizzi il partilo popolare e quello» degli ottimali, ch'era il suo.