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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   LIBRO I'RIMO.
   versarii, provando a loro : che diversi erano tra gli attici stessi i generi di eloquenza, e che però chi dicesse oratore attico non indicava precisamente qual si dovesse imitare, se Lisia, Iperide, Demostene, od fischine; che se a lui non succedeva di imitar felicemente Demostene, del che gli facevano aspro rimprovero, pensassero che quando Demostene parlava, tutta la Grecia concorreva ad udirlo, edessi invece, tanto a quel grande rassomigliavano, mettevano alle prime parole in fuga non solo la consueta corona degli uditori, ma gli stessi avvocati: che l'oratore dunque fosse ascoltato, che commuovesse gli alletti, che strappasse l'assentimento e l'ammirazione, che esprimesse anche il pianto, se gli abbisognava, dagli occhi de' giudici e delia moltitudine, e sarebbe attico al modo di Pericle, di Iperide, di Escliiue e di Demostene ; perocché alla perfine non tutti coloro che atticamente parlano, parlan bene, ma chi ben parla, quegli davvero parla atticamente. E gli pareva che l'opinione di questi attici dipendesse in gran parte da impotenza, onde lodassero quella sola maniera di dire che essi sentivano di poter imitare; stomacuzzi clic preferivano il digiuno c la farne all'ubertà ed all'abbondanza (1).
   Ma siccome tra loro era pure taluno de' suoi famigliari ed amici, come Calvo e Bruto, con questi non tanto si sdegnava quanto si doleva che per troppa sottigliezza e severità perdessero il vero sangue dell' eloquenza. « Calous orator, dice nel Bruto (283), accuratiìis quoddam dicendi et exquisltlus offerebat genus ; quod quamquam sette et eleganter tractabat, nimium tamen inquircns in se atque ipse se se obser-vans, metuensque ne vitiosum colligeret, etiam verum sanguinem deperdebat. Itaque ejus oratio nimia religione attenuata doctis et attente audientibus erat illustris, a multltudine autem et a foro, cui nata eloquentia est, devorabatur ». E come Bruto gli replicava che Calvo voleva essere detto oratore attico, e che di li veniva quella esilità cui di proposito conseguiva: Diccbat, inquam, ila — soggiunge — sed et ipse errabat et alios etiam errare cogebat. E a Bruto stesso scriveva due libri per distoglierlo dal seguire questa via, a cui pareva inclinato.
   Questa controversia divideva allora il campo degli oratori, ed era facile vedere che se la ragione stava per il momento dalla parte di Cicerone, il quale poteva anche confermarla coir esempio dei suoi splendidi successi, lui morto e soppressa la libertà, 1' opinione degli avversarii avrebbe finito col trionfare. E prima ancora che con Cassio Severo principiasse la nuova era dell'eloquenza latina, si videro chiar' segni del mutamento che si faceva noi giudizii delle colte persone e ne' gusti del publico, e Cosare potè piacere e parere degno emulo d Cicerone con un dire splendido e maestoso si, ma schietto e spoglio d'ogni oratorio accorgimento. Parlava come combatteva, con forza, con perspicacia, con impeto: e solo era della proprietà e purezza della lingua studiosissimo (2). Manifestamente i tempi cominciavano a domandare una eloquenza più naturale e spedita, e che più s'accostasse alla consuetudine del parlar comune; o Cicerone come fu il più grande, cosi doveva anche essere l'ultimo degli antichi oratori.
   Tornato in Roma dall'esiglio, che gli era stato inflitto da Clodio per vendicare la morte dei complici di Catilina, e tollerato dai triumviri per far cosa grata alla fazione popolare allora prepotente, dopo un breve momento di illusione Si dovette accorgere che altri ave\a preso il suo posto nella republica, e che rotto era ormai l'incanto di quella eloquenza, che lo avea elevato ai sommi onori, e gli avea dato altra volta autorità e potere di salvare il suo partito e la patria da certa rovina. A.d altre armi era serbata la decisione della lite, ed egli com'ebbe nella splendida
   (1) Così scriveva qualche anno dopo nelle Toscolane (II. 1.3). «Reperiebantur nonnulli, qui nihil laudarent, nisi quod ss imitavi posse confiderent, quemque sperandi sìln eundem bene dicendi fmem proponerent, et cum obruerentur copiu sententiarum atque verborum, jejuuitedem et Cameni se malie quam uberlatem el copiam dicerent; unde erat exortum genus Atticovum eis ipsis, qui id sequi se pro[ltebantur, ignolum ; qui jam contìcuerunt paene ab ipso foro irrisi',
   (2) Cic. Brulo. 261. e Quint. X. 1.114.