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LIBRO I'RIMO.
alpini, degli Spagnuoli, degli Africani, tantoché il civile dominio come la gloria delle lettere non fossero più di una città o di una gente sola, ma di tutti insieme que' popoli che avean composto la vasta mole dell' impero romano. Se le antiche virtù si perdevano, era questa una conseguenza dell' essersi Roma troppo estesa oltre i suoi confini, cui altri poteva forse deplorare, 11011 impedire ; c se nella imitazione delle lettere greche una qualche parte del carattere nazionale andò smarrita , pensiamo che per esse solamente il vieto ed angusto patriottismo romano poteva, senza perire, effondersi e ritemprarsi nei più dolci e più tranquilli affetti dell'arte e dell' umanità.
Ilo chiamato battagliera la letteratura di questi ultimi anni della republica, e con ciò volli dire che fu essenzialmente politica. E diffatti ella si riassume tutta nei due nomi di Cicerone e di Cesare, che nelle due metà di questo periodo meglio d'ogni altro personaggio 0 scrittore rappresentano gli intendimenti, 1 modi e le sorti diverso dei due partiti. Nè mai forse la fortuna accostò due uomini d'ingegno e d'animo sì differenti, eppure sì strettamente congiunti e concordi nella stima e nell' amor del sapere. Divisi dalla politica, li riconcilìva il culto comune delle lettere, nè avvenne mai che in questo campo l'uno detraesse alle giuste lodi dell'altro. Ma de'due nella letteratura è senza dubbio maggiore Cicerone, il quale vi stese tanta ala che tutta quasi la percorse colla sua varia, instancabile operosità. E dell'essere stato vìnto da Cesare il suo partito, potè anche nei momenti di maggior tristezza consolarsi col pensiero, che se la vittoria del suo avversario gli levava d' un tratto la libertà di partecipare come per lo innanzi al governo della republica, non valeva però a cancellare le sue opere, ed a vietare che la memoria ne giungesse ai posteri piii lontan Che anzi, pur nella sventura di una disfatta che avea preveduto ma non saputo impedire, non ebbe egli più cortese e più benevolo amico di Cesare, il quale non a torto forse giudicava, che la sua gloria e la sua potenza non fossero intere, se g 1 mancavano 1' assenso e le lodi di Cicerone. E quantunque sia stato in ogni tempo astuto accorgimento de' grandi ambiziosi quello di cattivarsi 1' affetto degli uomini più chiari per opere d'ingegno, nondimeno a lode di Cesare giova dire, che nello stendere la mano a Cicerone e nell'onorario, come fece dopo Farsaglia, non obbedì solamente ad una intenzione ambiziosa, sì bene volle dargli publica testimonianza d' un sentimento che nudriva davvero per lui, Quei due grandi uomir.1 11011 potevano non stimarsi ed amarsi l'un l'altro, e se in questo l'animo fosse stato più saldo, 0 più ardito il pensiero, forse Roma li avrebbe visti congiunti anche nella politica, con maggior gloria d'entrambi, e certo con inestimabile vantaggio della libertà.
Cosi noi li vediamo tenere ciascuno per la propria parte il campo dolla letteratura come della politica, e dominare colla persona una bella e numerosa schiera di seguaci. Difatti mentre s'aggruppano intorno a Cicerone e g.i fan corona M. Var-rone, Ortensio, Attico, L. Albucio, Pompeo, Laberio, Q. Tuberone, il fratello Quinto, Trebazio Testa, Nigidio Figulo, che tutti sono qual più vecchio, quale coetaneo, pochi minori a lui d' età ; i più giovani invece, se ne togliamo forse i due Bruti, Calvo e Catullo, furono attratti nell'orbita di Cesare ; e non sono nomi oscuri perchè si contano tra loro Asinio Pollione, Irzio, Oppio, e Sallustio che li vale tutti.
Per opera di Cicerone giunse al suo massimo fiore l'eloquenza, divenne un alto e vasto insegnamento la retorica, e la filosofìa fu la prima volta trattata con quell'ampiezza che merita una dottrina la quale, secondo l'avviso degli antichi, conteneva non solo le intime ragioni di tutte le verità, ma i principii eziandio e le norme di ogni virtù (1). Ad abbracciare si vasto campo di cognizioni e d: esercizii non occor-
(1) Prima di Cicerone la filosofia greca, 0 per meglio dire le dottrine di Epicuro erano stale esposte in latino e rese popolari da tre scrittori, Aniafinio, ìtabirio e Cazio; le opere dc; quali ebbero gran successo, quantunque fossero, corno Cicerone le chiama, inculta aique liorrida, de malis Graecis latine scripta deterius. E in più luoghi dove parla di questi filosofi nega a loro come ogni ordine e rigor logico, così ogni purezza ed eleganza di dettato, rivendicando quindi a sè la gloria d'es-