CAPITOLO Iii. —- sEcondA ETÀ'. 141
(lei secolo ottavo s' era formata, son per dire, una Università di studi, cui ogni colta persona doveva aver frequentato (1). Nò devesi qui tacere per ultimo il fatto altra volta menzionato dell'estendersi della lingua latina a tutta l'Italia, onde non pochi ed eccellenti scrittori vennero a Roma dalle più estreme parti della penisola (2).
1 tempi erano dunque maturi acciocché Roma avesse alla sua volta una letteratura, che potesse andare alla pari colla greca, dacché anche gli ornamenti e le grazie dell' arte più squisita cominciavano ad essere apprezzati per sè medesimi, ed a parer necessarii per ottenere non più una fuggevole efficacia, ma nome e gloria durevoli d'oratore e di poeta; e nelle investigazioni storiche, come nelle filosofiche speculazioni, la curiosità del vero prendeva via via la mano al desiderio di conseguire una momentanea utilità. La scienza e 1' arte eran venute acquistando una propria dignità, che agii occhi di moltissimi le faceva parer meritevoli d'essere amate e studiate, non solo perchè esse rendessero più perspicaci gì' ingegni e gli animi più agili a trattar questo o quel negozio della vita, ma perchè 1' acquistarle ed il possederle sembrava oramai essere della vita stessa il proprio e più nobile ufficio. E ad indurre negli animi questa persuasione giovò anche molto quel rivolgimento di cose di cui si è detto poco stante, il quale valse a staccare parecchi nobilissimi ingegni dai publici negozii, rivolgendoli agli studii più sicur e sereni delle lettere e della filosofia (3). Già s' era fatta strada anche in Roma la massima della scuola greca, che il saggio debba tenersi quanto può lontano dalle cure dello stato, e alla mente dei contemporanei di Bruto e di Cicerone si affacciavano dei problemi ben più alti e reconditi di quelli che fin qui li aveano affaticati. L' orizzonte delle cognizioni s' allargava ogni giorno, e con esso quello dei fini che l'uomo deve quaggiù raggiungere, ed in quegli ozii dove avea prima cercato un mero passatempo od una consolazione, il cittadino dell'antica Roma scopriva inavvedutamente la fonte di nuove ed altissime verità.
E valga il vero, se per questa età più che per la precedente è giusto 1 lagno di molti, che insieme colle lettere e colle arti sieno entrati in Roma vizii dapprima sconosciuti, se è vero che le ricchezze ed il lusso, onde quelle ebbero ajuto ed incremento, furono anche la principal cagione che gli ordini e le istituzioni de' maggiori mano mano si corrompessero, se per la qualità stessa degli esemplari greci che più avidamente erano letti, ed anche tradotti (4), Cicerone poteva, a difendere la scostumata giovinezza di Celio, esclamare che delle antiche virtù non si trovasse piìi traccia nè nei costumi nè nei libri di questo tempo, di questi e d' altri mali, che alla perfine eran proprii di una sola città, noi possiamo facilmente consolarci pensando ai benefizii che la nuova letteratura era per arrecare all'urlai! genere. E d'altra parte anche que'lamenti ci parranno meno fondati, e meno gravi que'mali, se consideriamo il fatto per sè giustissimo e provvidenziale, che ad una ad una le vinte nazioni fossero ammesse a godere di quell'impero e di quella civiltà che le avea soggiogate, e che dopo gli Umbri, gli Etruschi ed i Sanniti anche le più forti popolazioni della settentrionale Italia dessero a Roma non solo do'soldati, che la difendessero col braccio, ma degli uomini che ne onorassero il nome coli' ingegno e cogli scritti. Seguitando di questo passo, doveva poi venire la volta de' Galli trans-
(1) Basò ricordare il figlio di Cicerone ed Orazio. Una lettera di quello al liberto Tirone ci apprende come fosse aggradevole quel soggiorno, e come vi si passasse bellamente il tempo fra gli studii filosofici ed i festevoli banchetti, dove maestri e scolari stavano talvolta fino a tarda notte scherzando e conversando come si fa nei simposii di Platone e di Senofonte (Vedi i miei Studii Oraziani nel Politecnico 1806. Voi. II).
(2) Catullo da Verona, Livio da Padova, Cornelio Nipote da Como, da Osliglia o fors'anche da Pavia.
(3) Un di costoro fu T Pomponio Attico, amico di tutti i letterati del suo tempo, ed insigne letterato egli stesso.
(4) I romanzi di Aristide che furono volgarizzali da Siseuna